Clinica
Cardiologia
17/04/2025

Narcolessia e rischio cardiovascolare, nuove evidenze sin dall’infanzia

I pazienti affetti da narcolessia hanno una maggiore probabilità, rispetto a individui senza, di presentare diagnosi di ipertensione, iperlipidemia, diabete, steatoepatite non alcolica e eventi cardiovascolari

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La relazione tra narcolessia e malattie cardiovascolari è stata ulteriormente consolidata da nuove evidenze che dimostrano come tale legame riguardi anche patologie subcliniche e si manifesti già nelle prime fasi della vita. Uno studio di coorte retrospettivo condotto negli Stati Uniti ha rilevato che i pazienti affetti da narcolessia avevano una maggiore probabilità, rispetto a individui senza narcolessia abbinati tramite punteggio di propensione, di presentare diagnosi di ipertensione, iperlipidemia, diabete, steatoepatite non alcolica e eventi cardiovascolari avversi maggiori.

L’analisi ha dimostrato che il rischio di queste condizioni persisteva in tutte le fasce d’età e nei due sessi, con valori particolarmente elevati nei pazienti sotto i 25 anni. In questa popolazione, il rischio di ipertensione e diabete risultava più che doppio rispetto ai controlli. Rakesh Bhattacharjee, della Scuola di Medicina dell’Università della California, San Diego e del Rady Children's Hospital (Stati Uniti), insieme ai suoi colleghi, ha sottolineato che questo dato impone una valutazione cardiovascolare attenta anche nei bambini e nei giovani adulti, sfidando l’idea consolidata secondo cui il rischio cardiovascolare in questa fascia d’età sarebbe trascurabile. Un ulteriore elemento di preoccupazione è rappresentato dal fatto che la comparsa precoce di malattia cardiovascolare subclinica implica una lunga esposizione a fattori di rischio, aumentando la probabilità di sviluppare eventi cardiovascolari avanzati come ictus, infarto del miocardio o altre complicanze gravi.

La narcolessia, un disturbo neurologico cronico che interessa il ciclo sonno-veglia e colpisce circa 79,4 individui su 100.000 negli Stati Uniti, era già stata associata a eventi cardiovascolari attraverso studi osservazionali. Tuttavia, Bhattacharjee e colleghi hanno ora esteso questa relazione includendo anche condizioni subcliniche e, per la prima volta, hanno identificato un legame tra narcolessia e steatoepatite non alcolica, un noto fattore di rischio per le malattie aterosclerotiche cardiovascolari.

«Nel complesso, il nostro studio evidenzia la necessità per i clinici di monitorare precocemente la presenza di malattie cardiovascolari subcliniche nei pazienti con narcolessia e di considerare interventi atti a mitigare il rischio di eventi cardiovascolari avversi maggiori nel corso della vita» hanno scritto gli autori nell’American Heart Association Journal. L’indagine è stata condotta utilizzando dati derivati da pazienti assicurati attraverso Medicare e compagnie private. I soggetti inclusi nel gruppo narcolessia dovevano aver presentato almeno due richieste di rimborso per visite ambulatoriali relative alla malattia nell’arco di un anno, comprendendo sia narcolessia di tipo 1 che di tipo 2, con o senza cataplessia. L’analisi finale ha riguardato pazienti diagnosticati tra il 2005 e il 2021 (n=22.293), abbinati a individui senza narcolessia per età, sesso e data di diagnosi (n=63.709). Grazie alla metodologia adottata, il campione risultava ben bilanciato. Il gruppo abbinato aveva un’età media di 33 anni e circa il 65% dei partecipanti erano donne. Per quanto riguarda le terapie farmacologiche, il 25% assumeva stimolanti, il 21% inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, il 16% inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina, il 18% farmaci promotori della veglia e un altro 18% benzodiazepine. Inoltre, l’11% dei partecipanti assumeva farmaci antipertensivi e circa l’1% antidiabetici. Gli autori hanno osservato che, nonostante gli aggiustamenti per vari fattori di confondimento come apnea ostruttiva del sonno, obesità e farmaci specifici per la narcolessia, i risultati dello studio rimanevano invariati. Le analisi di sottogruppo, inclusa la stratificazione tra narcolessia di tipo 1 e di tipo 2, confermavano la robustezza delle associazioni identificate. Nonostante le numerose precauzioni metodologiche adottate, gli autori riconoscono che non è possibile escludere del tutto un certo grado di bias da rilevazione, poiché i pazienti con narcolessia potrebbero essere sottoposti a screening cardiovascolare più rigoroso. Inoltre, il ricorso esclusivo ai codici diagnostici senza il supporto di dati laboratoristici rappresenta un limite significativo, così come la possibilità che alcuni soggetti con narcolessia non diagnosticata siano stati erroneamente inclusi nel gruppo di controllo.

J Am Heart Assoc. 2025 Apr 10:e039899. doi: 10.1161/JAHA.124.039899.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40207482/

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