Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato al congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC) di Londra, ha dimostrato l’efficacia di un farmaco, il finerenone, per malattia renale cronica per la cura di una classe di pazienti che soffrono di una forma iniziale di scompenso cardiaco in forte crescita ma difficili da trattare perché sono in una sorta di “limbo” in quanto il cuore pompa bene ma i ventricoli non si riempiono in modo corretto. Fino a oggi l’unica classe di farmaci disponibili erano le gliflozine che si usano per ogni forma di scompenso indipendentemente dalla gravità. Il farmaco potrebbe quindi rappresentare una nuova opzione terapeutica efficace in questi pazienti per i quali sono pochi i trattamenti disponibili.
Lo scompenso cardiaco rappresenta un grave problema di salute pubblica che colpisce 15 milioni di individui in Europa e circa 1 milione in Italia e si stima che quasi la metà abbia una frazione di eiezione leggermente ridotta. Nel nostro Paese, la maggior parte dei malati ha più di 70 anni e lo scompenso cardiaco è la causa principale di ricovero negli over 65, con esito fatale nel 50% dei pazienti entro 5 anni dalla diagnosi, se non adeguatamente trattati.
Lo studio clinico di fase III FINEARTS-HF, randomizzato e in doppio cieco, coordinato da Scott Solomon, del Brigham and Women's Hospital di Boston, ha coinvolto più di 6000 persone provenienti da 37 paesi con insufficienza cardiaca a frazione di eiezione leggermente ridotta o conservata in cui il cuore si contrae ancora normalmente, ma mostra i primi segni di scompenso. Tra settembre 2020 e gennaio 2023, i pazienti sono stati divisi in due gruppi: a 3000 è stata somministrata una dose giornaliera di finerenone, mentre agli altri 3000 è stato somministrato un placebo. I risultati hanno dimostrato che il farmaco ha ridotto del 16% il rischio di ricovero e morte rispetto al placebo, indipendentemente dal fatto che i pazienti utilizzassero già gliflozine, unica opzione di trattamento con una forte raccomandazione delle linee guida.
“Negli ultimi 20-25 anni abbiamo fatto passi da gigante nel campo dell'insufficienza cardiaca, ma perlopiù per il tipo chiamato con frazione di eiezione ridotta, cioè quando il cuore non pompa molto bene - dichiara Pasquale Perrone Filardi, presidente SIC e direttore della scuola di specializzazione dell’Università Federico II di Napoli – Oggi, per la prima volta, si aggiunge un nuovo farmaco bloccante non steroideo, in grado di influenzare favorevolmente questa forma di scompenso cardiaco difficile da gestire e trattare”.
“Il finerenone agisce in modo differente rispetto ad altri farmaci - spiega Perrone Filardi - nel ridurre il rischio cardiovascolare bloccando il recettore dell'ormone aldosterone che trattiene sale e acqua nei reni, e riduce così i livelli di potassio che possono danneggiare il cuore – sottolinea Perrone Filardi -.Quando il finerenone blocca il recettore impedisce la perdita di potassio che mette a rischio i pazienti”.
“Il nuovo studio fornisce supporto alla terapia additiva con finerenone; tuttavia, sono certamente necessari ulteriori dati per rendere realmente rilevanti i risultati per i pazienti - conclude il presidente SIC -. La ricerca sollecita anche la classe medica a ottenere una diagnosi che sia il più precoce possibile”.