Un gruppo internazionale di ricercatori del La Jolla Institute for Immunology (LJI) e del Columbia University Irving Medical Center ha identificato per la prima volta una risposta autoimmune specifica nei pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
Lo studio, pubblicato su Nature e coordinato da Alessandro Sette e David Sulzer, indica che il sistema immunitario dei pazienti riconosce come bersaglio la proteina C9orf72, presente nei motoneuroni.
La SLA è caratterizzata da degenerazione progressiva dei motoneuroni, con perdita della forza muscolare e compromissione respiratoria. La nuova ricerca dimostra che le cellule T CD4+, normalmente deputate alla difesa dell’organismo, attaccano la proteina C9orf72, già nota per le sue mutazioni genetiche associate a una quota di casi familiari. L’autoimmunità osservata, tuttavia, riguarda anche i pazienti senza mutazioni, suggerendo un meccanismo immunologico comune nelle diverse forme di malattia.
Analizzando le risposte immunitarie di un ampio campione di pazienti, il team ha individuato due profili distinti:
• un gruppo con cellule T prevalentemente pro-infiammatorie, associato a sopravvivenza più breve;
• un gruppo con maggiore risposta anti-infiammatoria (IL-10 mediata) e prognosi più favorevole.
Questi dati, affermano gli autori, confermano che nella SLA il decorso clinico potrebbe dipendere dal bilanciamento tra infiammazione e contro-infiammazione nel sistema nervoso. Le cellule T “protettive” sembrano limitare i danni autoimmuni e rallentare la progressione.
Secondo gli autori, la scoperta ridefinisce la SLA come patologia anche immunomediata, aprendo la via a strategie terapeutiche basate sull’immunomodulazione mirata. Tra le ipotesi, il potenziamento delle cellule T regolatorie o la reinfusione di cellule T anti-infiammatorie ingegnerizzate.
Il test di laboratorio impiegato per rilevare la reattività verso C9orf72 potrebbe in futuro supportare la diagnosi precoce o la predizione della progressione clinica, anche se la complessità metodologica ne limita al momento l’uso routinario.
Come ricordano gli autori, l’approccio potrebbe essere esteso ad altre malattie neurodegenerative — tra cui Parkinson, Huntington e Alzheimer — nelle quali si rafforza l’evidenza del coinvolgimento immunitario.