Valorizzare l’esperienza diretta di chi ha affrontato un disagio psichico come competenza da integrare, in modo strutturale, nei percorsi di cura e nelle politiche sanitarie. È l’obiettivo della nuova roadmap “Transforming mental health through lived experience”, presentata il 30 giugno da WHO/Europe a una platea internazionale di quasi quattrocento partecipanti.
Frutto della collaborazione tra WHO/Europe, Mental Health Europe e il Dipartimento della Salute e l’Health Service Executive dell’Irlanda, il documento – il primo con questo livello di dettaglio e ampiezza – fornisce ai sistemi sanitari un modello per coinvolgere attivamente persone con esperienza vissuta (“lived experience practitioners”) nella progettazione, valutazione e implementazione dei servizi di salute mentale.
Per i professionisti, si tratta di una trasformazione di prospettiva che va oltre l’inserimento di nuove risorse: è un cambiamento culturale, che affianca all’expertise clinico quella derivata dal vissuto personale.
“L’esperienza vissuta è una forma di conoscenza distinta ma pari a quella clinica, sociale e politica”, spiega Michael Ryan, responsabile del Mental Health Engagement and Recovery presso il Health Service Executive irlandese e presidente del gruppo che ha redatto la roadmap. “È essenziale per costruire servizi orientati al recupero, realmente centrati sulla persona”.
Nel concreto, i lived experience practitioners possono assumere ruoli differenti: dal supporto tra pari, alla consulenza nei percorsi terapeutici, fino al contributo attivo nella definizione delle politiche sanitarie. La loro presenza si affianca a quella degli operatori, integrando le competenze tecniche con una visione esperienziale utile a rafforzare l’efficacia e l’umanizzazione dei servizi.
La roadmap definisce sei azioni chiave:
• prevedere ruoli formalizzati nelle politiche nazionali;
• preparare le strutture sanitarie all’integrazione effettiva;
• favorire la co-progettazione nei servizi;
• standardizzare la formazione professionale;
• garantire supervisione e pratiche riflessive;
• ampliare la portata attraverso strumenti digitali.
Queste azioni sono basate su evidenze, buone pratiche già attive in Europa e sul contributo di professionisti, accademici, policy-maker e esperti per esperienza di 29 Paesi.
Uno degli aspetti centrali è il passaggio da un coinvolgimento simbolico a ruoli professionali retribuiti. Sebbene l’86% dei Paesi dichiari di includere l’esperienza vissuta nelle politiche, il più delle volte si tratta di consultazioni episodiche. “Molti servizi psichiatrici non collaborano con esperti per esperienza, e la partecipazione ai processi decisionali resta marginale”, osserva Flóris Balta, membro ungherese della task force.
Il documento evidenzia anche le sfide per l’implementazione, tra cui resistenze culturali da parte del personale sanitario, mancanza di fondi strutturali e incertezza sui percorsi professionali. Proprio per questo, la roadmap prevede il supporto operativo ai Paesi attraverso l’accordo di collaborazione tra WHO/Europe e la Commissione europea (“Addressing mental health challenges in the European Union, Iceland and Norway”).
Tra i promotori del progetto figura anche Catherine Brogan, ex presidente di Mental Health Europe e oggi alla guida dell’organizzazione irlandese Suicide or Survive. “La co-creazione parte dall’ascolto e dall’inclusione di tutti gli attori, inclusi i professionisti clinici. Il loro ruolo resta centrale per tradurre nella pratica i principi di recovery e umanizzazione dei percorsi di cura”.
La roadmap sarà applicata inizialmente in alcuni Paesi pilota. Per chi opera nei servizi, rappresenta un’opportunità per ripensare le modalità di presa in carico, promuovere l’alleanza terapeutica e favorire percorsi realmente condivisi con gli utenti e i loro familiari.