Clinica
Vitamina D
01/07/2025

Vitamina D e prevenzione del diabete: cosa ci insegna lo studio FIND

In soggetti adulti con pre-diabete la supplementazione con vitamina D ad alte dosi si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio di progressione a diabete di tipo 2 conclamato

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Studi osservazionali hanno evidenziato un’associazione tra ridotti livelli sierici di vitamina D e il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 (DM2). «Inoltre, in soggetti adulti con pre-diabete la supplementazione con vitamina D ad alte dosi si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio di progressione a DM2 conclamato e nell’aumentare la probabilità di ripristinare l’euglicemia, specialmente in pazienti non obesi o con deficit vitaminico D basale, tanto da condurre l’Endocrine Society a suggerire la supplementazione empirica con vitamina D negli adulti con pre-diabete, in aggiunta alla modifica allo stile di vita», afferma Elisa Cairoli, SC Endocrinologia, Diabetologia, Dietetica e Nutrizione Clinica, ASST Lariana, Ospedale Sant'Anna, San Fermo della Battaglia (CO). «Dati meno conclusivi sono stati invece finora disponibili nelle popolazioni non ad elevato rischio di DM2».

Lo studio FIND (Finnish Vitamin D Trial) (Virtanen JK, et al. Diabetologia 2025), randomizzato in doppio cieco controllato con placebo, «aveva l’obiettivo di indagare nella popolazione generale sana gli effetti della supplementazione con vitamina D sull’incidenza a 5 anni di patologie croniche maggiori, tra cui il DM2» prosegue Cairoli. «I criteri di inclusione erano i seguenti: maschi ultra60enni e femmine ultra65enni senza anamnesi di malattie CV o cancro. I criteri di esclusione erano: nefrolitiasi, insufficienza renale o dialisi, ipercalcemia, iper o ipoparatiroidismo, cirrosi, sarcoidosi o altre malattie granulomatose, uso di supplementi contenenti > 1200 mg/die di calcio o > 800 U/die di vitamina D, trattamento con anti-diabetici (per escludere una precedente diagnosi di DM)».

«I partecipanti sono stati randomizzati in tre differenti bracci per 5 anni dal 2012 al 2018: placebo (n = 760), vitamina D 1600 UI/die (n = 744) e vitamina D 3200 UI/die (n = 767) (Virtanen JK, et al. Diabetologia 2025)», riporta l’esperta. «L’aderenza alla supplementazione è stata indagata mediante questionari. Un sottogruppo di 505 partecipanti è stato sottoposto anche a prelievi ematici seriati (al basale e dopo 6, 12 e 24 mesi) per determinare i livelli ematici di 25-idrossivitamina D (25 OHD), glicemia e insulina».

«I partecipanti erano 2271 soggetti finlandesi, con età media 68.2 anni (DS 4.5), 57% maschi. Nel sottogruppo in cui è stato eseguito il dosaggio, i valori basali sierici medi di 25-OHD sono risultati 74.5 ± 18.1 nmol/L (29.8 ± 7.2 ng/mL), in particolare il 49% presentava valori > 75 nmol/L (30 ng/mL) e solo il 9.3% valori < 50 nmol/L (20 ng/mL), senza significative differenze tra i 3 bracci» riferisce l’endocrinologa. «Gli outcome erano i seguenti: malattia CV, cancro e incidenza di DM2 (qui si parla solo di questo)».

Questi i risultati. «In termini di aderenza, tra coloro che hanno compilato i questionari, il 95.4% ha riportato di aver assunto durante lo studio almeno l’80% delle compresse di vitamina D e il 74.2% di averle assunte tutte», osserva l’esperta. «Riguardo le nuove diagnosi di DM2: a) durante un follow-up medio di 4.2 anni, ne sono state registrate 105 nei database nazionali, senza differenze statisticamente significative nell’incidenza di tale evento nei bracci placebo (5%), vitamina D 1600 UI/die (4.2%) e 3200 UI/die (4.7%) (p-trend = 0.731); b) durante un periodo medio post-supplementazione di 3.3 anni, 137 ulteriori soggetti sono stati diagnosticati come diabetici, 5.5% del gruppo placebo, 6.4% del gruppo vitamina D 1600 UI/die e 6.1% del gruppo vitamina D 3200 UI/die» riferisce Cairoli. «Globalmente non si sono rilevate differenze significative nel tasso di incidenza di nuove diagnosi di DM2 durante il periodo di follow-up complessivo medio di 7.5 anni o dopo esclusione dall’analisi dei 53 casi diagnosticati nei primi due anni di follow-up (nel tentativo di escludere eventuali casi pre-esistenti di pre-diabete o DM2 non registrati alla valutazione basale)» commenta la specialista.

«Nel sottogruppo di partecipanti sottoposti a prelievi ematici seriati, non si sono rilevate differenze significative tra i 3 bracci in corso di follow-up in termini di variazioni di glicemia e insulina a digiuno, insulino-resistenza (misurata mediante indice HOMA), BMI e circonferenza vita» prosegue Cairoli. «Gli autori hanno concluso che la supplementazione con vitamina D a dosi moderate o elevate nella popolazione ultra60enne sana non si è dimostrata in grado di ridurre l’incidenza di DM2 né di determinare in entrambi i sessi effetti significativi sui livelli plasmatici di glicemia o insulina, sull’insulino-resistenza o sui parametri antropometrici rispetto al placebo».

«Mentre nei soggetti affetti da pre-diabete è stato dimostrato il beneficio della supplementazione con vitamina D per ridurre il rischio di progressione a DM2 (Pittas AG, et al. Ann Intern Med 2023), i dati dello studio FIND, pur con diverse limitazioni (dimensione del campione non disegnata per dimostrare la prevenzione del DM2, possibile sotto-stima dei casi di DM2 sia alla valutazione basale sia durante il follow-up, indisponibilità dei livelli sierici di 25-OHD per tutta la popolazione coinvolta nello studio), non suggeriscono analoghi benefici nella popolazione ultra60enne non ad alto rischio di sviluppare la patologia» commenta Cairoli. «Come già rilevato in altri studi analoghi con livelli medi basali di 25-OHD non francamente deficitari nella popolazione reclutata, come il trial VITAL (Luttmann-Gibson H, et al. Contemp Clin Trials 2019), il mancato riscontro di un beneficio della supplementazione con vitamina D non indica necessariamente l’assenza di un effetto, quanto piuttosto la presenza di uno status vitaminico D adeguato per quel determinato end-point. Analogamente, pertanto, questo studio non consente di escludere un possibile beneficio sulla prevenzione del DM2 della supplementazione con vitamina D ad alte dosi nelle popolazioni carenti anche a rischio basso o moderato di DM2» osserva Cairoli. «Per dimostrare la presenza di tale effetto protettivo sarebbero necessari ulteriori studi con numerosità campionarie maggiori in popolazioni vitamina D carenti», conclude l’esperta.

Diabetologia 2025, 68: 715-26. doi: 10.1007/s00125-024-06336-9.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39621103/

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