Un’ampia revisione sistematica e meta-analisi, pubblicata su The Lancet Psychiatry, ha confrontato gli effetti cardiovascolari di vari farmaci utilizzati per il trattamento del Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), inclusi stimolanti e inibitori della ricaptazione della noradrenalina. I risultati confermano solo lievi aumenti della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, senza differenze significative tra molecole come metilfenidato, lisdexamfetamina, atomoxetina e viloxazina.
Lo studio ha incluso 102 RCT con un follow-up di almeno 12 settimane (mediana: 7 settimane). Hanno partecipato 13.315 bambini e adolescenti (età media: 11 anni; 73% maschi) e 9387 adulti (età media: 35 anni; 57% maschi), tutti con diagnosi primaria di ADHD e trattati con uno dei seguenti farmaci: amfetamine, atomoxetina, bupropione, clonidina, guanfacina, lisdexamfetamina, metilfenidato, modafinil o viloxazina
Non sono state osservate differenze statisticamente significative tra i farmaci, in termini di incremento della pressione arteriosa sistolica o diastolica, in nessuna delle varie fasce d’età. Solo la guanfacina ha mostrato una riduzione consistente di pressione e pulsazioni rispetto al placebo. La viloxazina ha inoltre aumentato la pressione diastolica a breve termine nei bambini e adolescenti di 2,15 mmHg. Riguardo ad altri parametri ECG, sono state riscontrate modifiche minime, prive di immediate implicazioni cliniche.
Gli autori sottolineano che questi risultati non sono da considerarsi conclusivi, e invitano a una maggior standardizzazione nella segnalazione dei parametri ECG negli RCT sull’ADHD, anche se consigliano fortemente di monitorare pressione e frequenza cardiaca prima e durante la terapia, come da linee guida. Tuttavia, evidenziano come il profilo di rischio cardiovascolare è generalmente contenuto, e per la maggioranza dei pazienti il bilancio rischio-beneficio resti favorevole.
I dati negli RCT rappresentano medie di gruppo e, in quanto tali, “forniscono un’indicazione generale sugli effetti cardiovascolari ma non sono applicabili al singolo paziente”.
In un editoriale associato, Steven R. Pliszka, professore e direttore del Dipartimento di Psichiatria presso la University of Texas Health Science Center a San Antonio, ha osservato che gli aumenti di pressione e frequenza cardiaca sono piccoli e in linea con altri studi che riportano incrementi medi di 5 mmHg e 5 battiti/min. Ha inoltre sottolineato che si tratta di effetti medi e che alcuni pazienti potrebbero manifestare valori borderline anomali.
Serve quindi una maggiore estensione e rappresentatività nei trial, soprattutto per quanto riguarda donne, anziani e minoranze etniche.
Sia Pliszka che gli autori della meta-analisi hanno affermato che l’analisi non può chiarire gli esiti a lungo termine, e chiedono ulteriori ricerche, ad esempio tramite analisi con intelligenza artificiale su grandi database, per identificare quali pazienti con ADHD sono maggiormente a rischio di eventi CV.
Gli scienziati raccomandano di non allarmarsi: gli effetti sono lievi e il rapporto tra benefici e rischi rimane positivo. Quando si usano farmaci per l’ADHD, i clinici devono essere vigili sugli effetti collaterali ma non evitarne l’uso e chi ha problemi cardiaci dovrebbe parlarne con il medico prima di iniziare la cura, hanno concluso gli autori.