Un’epidemia silenziosa sta interessando le terapie intensive: il batterio Clostridium difficile, responsabile di gravi infezioni intestinali, si sta diffondendo all’interno degli ospedali in modo più subdolo e duraturo di quanto finora documentato. Lo rivela uno studio pubblicato su JAMA Network Open, condotto in due reparti di terapia intensiva negli Stati Uniti.
Secondo i ricercatori della University of Utah, il batterio è stato rilevato nel 10% dei pazienti ricoverati, o nei loro ambienti immediati. L'analisi genetica completa ha permesso di ricostruire i percorsi di trasmissione, mostrando che nella maggior parte dei casi si trattava di ceppi identici a quelli rilevati in altri pazienti o in altre stanze, segno che il batterio non arrivava da fonti esterne, ma si trasmetteva all’interno della struttura.
Il dato più allarmante è che oltre la metà dei casi potenzialmente trasmessi ha coinvolto pazienti che non erano mai stati presenti in ospedale nello stesso momento. Il C. diff riesce infatti a sopravvivere a lungo su superfici ospedaliere, resistendo anche ai disinfettanti a base alcolica, pronto a infettare nuovi pazienti anche settimane dopo la sua prima comparsa.
Non tutti i ceppi identificati erano patogeni, ma secondo gli autori questo tipo di trasmissione nascosta potrebbe coinvolgere anche varietà più pericolose senza essere rilevata. A facilitare la diffusione sono i continui scambi tra superfici, pazienti e mani del personale sanitario. Lo studio evidenzia che il passaggio batterico ambiente-paziente è molto più frequente di quanto indicato da ricerche precedenti.
Gli autori chiedono una revisione urgente delle strategie di prevenzione: dispositivi di protezione, igiene rigorosa delle mani e sanificazione più efficace delle superfici devono tornare al centro dell’attenzione. “Il nostro studio mostra quanto sia facile che il batterio si sposti, anche senza contatto diretto tra pazienti”, ha detto Lindsay Keegan, prima autrice della ricerca. “Questo tipo di trasmissione invisibile è proprio ciò che dobbiamo interrompere se vogliamo contenere le infezioni ospedaliere.”