Farmaci
Finerenone
14/01/2025

L'efficacia di finerenone nel trattamento dell'insufficienza cardiaca: gli studi FINEARTS-HF e FINE-HEART

Al recente congresso della Società Europea di Cardiologia sono stati presentati i risultati dello studio FINEARTS-HF e dell’analisi combinata FINE-HEAR, nella quale sono stati analizzati globalmente i dati dei tre grandi studi con finerenone

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Il finerenone è il primo antagonista selettivo dei mineralcorticoidi. «Sulla base delle evidenze cliniche derivate da due studi randomizzati di fase 3 multicentrici, controllati con placebo (FIDELIO-DKD e FIGARO-DKD) e di una successiva analisi combinata dei 2 studi (FIDELITY) (Agarwal R, et al. Eur Heart J 2022), è stato approvato dalle agenzie regolatorie internazionali», osservano Domenico La Sala e i componenti della Commissione Farmaci AME (Associazione Medici Endocrinologi) coordinata da Vincenzo De Geronimo. «L’AIFA ne prevede la rimborsabilità nel paziente affetto da diabete mellito tipo 2 (DM2) e malattia renale cronica (CKD) negli stadi 3 e 4, con eGFR 25-60 mL/min e albuminuria ≥ 30 mg/die, in trattamento con ACE-inibitori/sartani al dosaggio massimo tollerato, con: a) controindicazione o intolleranza agli inibitori di SGLT-2; b) evidenza documentata di persistente albuminuria e/o rapido declino funzionale renale (perdita di eGFR ≥ 3 mL/min/anno), nonostante il trattamento con SGLT-2i».

«Al recente congresso della Società Europea di Cardiologia (Londra, dal 30/8 al 2/9/2024) sono stati presentati i risultati dello studio FINEARTS-HF e dell’analisi combinata FINE-HEART», proseguono gli specialisti, «nella quale sono stati analizzati globalmente i dati dei tre grandi studi con finerenone».

Lo studio FINEARTS-HF (1) «è uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, per gruppi paralleli», spiegano La Sala e colleghi. «I criteri di inclusione erano: età ≥ 40 anni, insufficienza cardiaca (HF) sintomatica, con frazione di eiezione (FE) moderatamente ridotta o preservata (≥ 40%), cardiopatia strutturale, elevati livelli di peptidi natriuretici. Quelli di esclusione principali: eGFR < 25 mL/min, insufficienza epatica, malattia di Addison, miocardite, cardiopatia ischemica, grave pneumopatia cronica, valvulopatia, aritmie non controllate, ipo/ipertensione non controllata, ictus», riportano gli specialisti. «L'end-point primario», proseguono, «era un composito di peggioramento degli eventi relativi all’HF (definito come prima o ricorrente ospedalizzazione oppure visita urgente per tale motivazione) e della morte per cause cardio-vascolari (CV), mentre gli end-point secondari includevano: peggioramento degli eventi correlati all’HF; cambiamenti nel punteggio della qualità di vita (QoL, valutata tramite KCCQ - Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire) a 6, 9, 12 mesi; miglioramento della classe funzionale NYHA a 12 mesi; esito composito renale (diminuzione prolungata di eGFR, ≥ 50% o < 15 mL/min, inizio dialisi o trapianto di rene), valutati mediante l’analisi time to event».

«Sono stati arruolati 7643 pazienti (media 72 anni, 45% donne), circa il 40% diabetici», riportano La Sala e colleghi. «Il protocollo ha previsto la continuazione delle terapie standard (ACE-inibitori 35.9%, sartani 35%, sacubitril/valsartan 8.5%, ß bloccanti 84.9%, SGLT-2i 13.6%) e la randomizzazione a placebo o finerenone in mono-somministrazione, al dosaggio massimo di 20 o 40 mg/die in base all’eGFR», continuano gli esperti.

«Durante un follow-up mediano di 32 mesi, nel gruppo finerenone rispetto al gruppo placebo si sono osservati una riduzione di circa il 16% dell'end-point composito primario (HR 0.84, IC 95% 0.74-0.95, P < 0.007), mantenutasi anche nell’analisi di sottogruppo, inclusi quindi pazienti con FE ≥ o < 60% e indipendentemente dall’utilizzo concomitante di SGLT-2i. La differenza si manteneva anche nell’analisi di sensibilità, se nell’esito composito veniva considerato solo il tempo al primo evento di peggioramento dell’HF (HR 0.84, IC 95% 0.76-0.94)», riportano La Sala e colleghi.

«Separando i risultati relativi ai singoli esiti del composito, la mortalità per cause CV è stata ridotta in maniera non significativa (HR 0.93, IC 95% 0.78–1.11), mentre gli eventi relativi al peggioramento dell’HF sono stati ridotti del 18% (HR 0.82, IC 95% 0.71-0.94, P = 0.006)», proseguono gli esperti. «Il QoL ha mostrato un miglioramento; la classe funzionale NYHA non ha mostrato differenze; l'esito composito renale non ha mostrato differenze, in contrasto con le evidenze sulla nefro-protezione indotta dal farmaco in precedenti studi su diabetici affetti da CKD, ma giustificato dagli autori con il minor rischio di progressione di CKD nella popolazione arruolata (al basale eGFR 61.9 ± 19.4 vs 62.3 ± 20 mL/min, con mediana albuminuria/creatininuria 18 vs 19 mg/g)», continuano i ricercatori. «L'iperkalemia è stata più comune nel gruppo di intervento (14.3% vs 6.9 %), ma senza determinare eventi fatali e con impatto limitato sulle ospedalizzazioni (0.5% vs 0.2%)».

«I limiti dello studio includevano una minore rappresentatività della popolazione di colore. Inoltre, gli autori invitano a un’interpretazione prudente dell’analisi dei sottogruppi, per il numero subottimale di soggetti», riportano La Sala e colleghi.

«Lo studio FINE-HEART (2) è un'analisi combinata che ha aggregato i dati dei tre più importanti studi sul finerenone: FIDELIO-DKD, FIGARO-DKD (pazienti con DM2 e CKD) e FINEARTS-HF», riferiscono gli specialisti. «I partecipanti erano 18 991, con un'età media di 67 anni, di cui il 35% di sesso femminile, l'81% con DM2, l'84% con CKD, il 37% con HF e il 12% con tutte e tre le condizioni. L'end-point primario pre-specificato era il tempo alla morte CV, escludendo i casi di morte per cause indeterminate», continuano gli esperti.

«Nei 2.9 anni di follow-up, nel gruppo finerenone rispetto a quello di controllo (standard of care) sono stati riscontrati: una tendenza alla riduzione della mortalità CV (4.4% vs 5.0%, HR 0.89, IC 95% 0.78-1.01, p = 0.076); una riduzione significativa della mortalità per tutte le cause (11% vs 12%, HR 0.91, IC 95% 0.84–0.99, p = 0.027); una riduzione significativa delle ospedalizzazioni per HF (2.7% vs 3.2%, HR 0.83, IC 95% 0.75–0.92, p < 0.001); una riduzione significativa dell'esito composito renale (5.9% vs 7.2%, HR 0.80, IC 95% 0.72-0.90, p < 0.001)», proseguono gli esperti. «Il tasso di eventi avversi è stato minore (34.6% vs 36.6%), ma c'è stata una maggiore presenza di eventi avversi definiti seri che hanno condotto alla sospensione del farmaco (5.4% vs 4.6%) e una maggiore frequenza di iperkalemia (16.5% vs 7.7%)», commentano La Sala e colleghi.

«Le evidenze documentano ulteriormente il beneficio nel continuum cardio-nefro-metabolico derivante dal blocco selettivo del recettore dei mineralcorticoidi attuato dal finerenone. Quest’ultimo conferma il suo ruolo come farmaco disease-modifying, che ha impatto non solo sull’esito renale, ma anche sul tasso di ospedalizzazioni in pazienti con HF e FE ≥ 40%, indipendentemente dalla presenza di DM2. La mortalità per tutte le cause è stata ridotta significativamente, a differenza della mortalità CV, la cui riduzione non ha raggiunto la significatività. Sulla scorta di tali risultati, è atteso un eventuale parere delle agenzie regolatorie circa la possibile ulteriore estensione delle indicazioni terapeutiche del finerenone», concludono La Sala e colleghi.

1) N Engl J Med 2024, 391: 1475-85. doi: 10.1056/NEJMoa2407107.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39225278/

2) Nat Med 2024, 30:3758-3764. doi: 10.1038/s41591-024-03264-4.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39218030/

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