Farmaci
Visepegenatide
11/10/2024

Efficacia e sicurezza di visepegenatide, GLP-1 RA in monoterapia settimanale nel diabete mellito di tipo 2

Visepegenatide è un agonista del recettore del glucagon-like peptide-1 (GLP-1 RA) somministrabile in monodose settimanale per via sottocutanea, il cui peso molecolare è sensibilmente superiore rispetto a quello degli altri GLP-1 RA

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Visepegenatide è un agonista del recettore del glucagon-like peptide-1 (GLP-1 RA) somministrabile in monodose settimanale per via sottocutanea. «Si tratta di exenatide pegilata mediante coniugazione con una molecola di polietilenglicole, il cui peso molecolare è sensibilmente superiore rispetto a quello degli altri GLP-1 RA», riferisce Giuseppe Lisco insieme alla Commissione Farmaci AME (Associazione Medici Endocrinologi) coordinata da Vincenzo De Geronimo. «Tali caratteristiche ne condizionano l’assorbimento più lento a livello sistemico e la maggiore resistenza alla degradazione proteolitica da parte della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4) e all’eliminazione renale (Park EJ, et al. Expert Opin Emerg Drugs 2019)», proseguono gli specialisti. «Visepegenatide raggiunge il picco di concentrazione plasmatica 20-40 ore dopo singola somministrazione (con emivita estesa fino a 70 ore)», osservano Lisco e colleghi. «Pertanto, la molecola non richiede titolazione (Cui H, et al. Eur J Drug Metab Pharmacokinet 2020)», commentano gli esperti. «Uno studio di fase 2 ha evidenziato un buon profilo di tollerabilità per dosi fino a 200 µg (Cui H, et al. Eur J Drug Metab Pharmacokinet 2020). La dose ottimale per l’efficacia clinica è stata dimostrata pari a 150 µg/settimana» (Ji L, et al. Diabetologia 2021).

È stato pubblicato di recente uno studio con l’obiettivo di «esaminare efficacia e profilo di sicurezza di visepegenatide in monoterapia verso placebo in pazienti con diabete mellito di tipo 2 (DM2) naïve a terapia farmacologica», riferiscono gli specialisti. «Criteri di inclusione: pazienti con DM2 di età compresa tra 18 e 75 anni, HbA1c compresa tra 7.5 e 11%, BMI tra 18 e 40 kg/m2, già sottoposti a dieta ed esercizio fisico per almeno 8 settimane prima dell’arruolamento», proseguono gli esperti. «Criteri di esclusione: DM1, pancreatite acuta o cronica, trattamento farmacologico con qualsiasi agente ipoglicemizzante o anti-iperglicemico entro 3 mesi dalla randomizzazione, diagnosi accertata di complicanze correlate al DM2 - acute (chetoacidosi diabetica, stato iperglicemico iperosmolare) o croniche gravi -, almeno due episodi di ipoglicemia grave documentati entro 6 mesi dalla randomizzazione, insufficienza renale cronica», osservano Lisco e colleghi. «Disegno: studio multicentrico di fase 3», commentano gli esperti. «La randomizzazione è avvenuta in doppio cieco, computerizzata e centralizzata, dopo una fase di run-in di 4 settimane durante la quale tutti i partecipanti hanno ricevuto settimanalmente placebo per via sottocutanea. I due bracci di studio (rapporto 1:1) sono stati visepegenatide in dose fissa mono-settimanale di 150 μg (137 pazienti) verso placebo (136 pazienti) per 24 settimane consecutive (periodo di studio complessivo novembre 2020 – novembre 2022)», continuano gli esperti. «Dopo le 24 settimane di studio, ne sono state previste ulteriori 28 (+ 4 aggiuntive di safety) per una durata complessiva di 52 settimane. Durante le 28 settimane di estensione, i pazienti in trattamento con visepegenatide hanno continuato ad assumere il farmaco, mentre i partecipanti che erano stati trattati con placebo sono stati avviati a visepegenatide 150 μg», proseguono gli esperti. «Ipotesi sull’esito primario: superiorità di visepegenatide verso placebo nel confronto delle variazioni dei livelli di HbA1c tra i due bracci (basale - dopo 24 settimane di trattamento)», osservano Lisco e colleghi. «Popolazione: età media di 50.3 anni, uomini 70.3%, BMI medio 26.5 kg/m2, durata media di DM2 2.2 anni (45% < 1 anno), HbA1c media 8.5% (54.9% ≤ 8.5%), filtrato glomerulare medio 106.9 mL/min/1.73 m2, 21.6% con almeno una complicanza cronica correlata al DM2», commentano gli esperti. «Non sono state evidenziate differenze statisticamente significative tra i due gruppi».

Questi i risultati. «Completamento dello studio: in 257/273 partecipanti (94%), 131/137 nel braccio visepegenatide e 126/136 nel braccio placebo», continuano gli esperti. «Variazione HbA1c: dopo 24 settimane di trattamento, rispetto al basale, -1.36% nel braccio visepegenatide vs 0.6% nel gruppo placebo, con una differenza media stimata tra i due trattamenti pari a -0.73% (IC da -0.96 a 0.5, p < 0.001)», riferiscono gli specialisti. «La riduzione dei valori di HbA1c nel braccio trattato sempre con visepegenatide è stata molto rapida e statisticamente significativa già dopo le prime 4 settimane di trattamento (-0.8%) ed è rimasta sostenuta sino alla 52° settimana (-1.4%)», proseguono gli esperti. «Nel braccio trattato prima con placebo e successivamente convertito a visepegenatide nella fase di estensione (24°–52° settimana), la riduzione di HbA1c è stata pari a -1.5%», osservano Lisco e colleghi. «Il 50.4% dei trattati con visepegenatide ha ottenuto un valore di HbA1c < 7%, mentre il 26.7% ha raggiunto HbA1c ≤ 6.5% dopo 24 settimane di trattamento», commentano gli esperti. «Tali percentuali hanno subito una leggera flessione al termine delle 52 settimane di studio (rispettivamente, 43% e 22%)», riportano gli specialisti. «Percentuali simili sono state raggiunte al termine della fase di estensione anche dai pazienti trattati con placebo durante le prime 24 settimane e successivamente convertiti a visepegenatide», continuano gli esperti. «Il livello di miglioramento del controllo glicemico tra i pazienti trattati con visepegenatide è stato maggiore tra i soggetti con un grado di compenso glico-metabolico basale peggiore (HbA1c > 8.5%)», riferiscono gli specialisti. «Effetto sul peso: è stata registrata una riduzione BMI-dipendente nel braccio trattato con visepegenatide rispetto al placebo a 24 e 52 settimane (nessuna riduzione di peso nei pazienti con BMI < 24 kg/m2, riduzione di -2.2, -6.1 e -8.2 kg con BMI, rispettivamente, 24–28, > 28 e > 30 kg/m2)», proseguono gli esperti. «Risultati secondari: rispetto al placebo, visepegenatide ha migliorato sensibilmente i livelli di glicemia sia dopo 24 che 52 settimane, sia a digiuno (circa -25 mg/dL) che post-prandiali (attorno a -45 mg/dL), i livelli di peptide C a digiuno, i livelli di insulinemia e peptide C post-prandiali e gli indici di insulino-resistenza», osservano Lisco e colleghi. «Sono state registrate variazioni minime, clinicamente poco rilevanti, di colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi», commentano gli esperti. «È stata riportata anche una riduzione moderata dei livelli di pressione arteriosa sistolica e diastolica», riportano gli specialisti. «Si è reso necessario il ricorso a trattamento anti-iperglicemico aggiuntivo (es. metformina) solo in 3 pazienti del braccio visepegenatide verso 17 del braccio placebo».

Dati di sicurezza: «sono stati registrati eventi avversi in 111 (81%) partecipanti randomizzati a visepegenatide e 85 (62.5%) del gruppo placebo», riferiscono gli specialisti. «Durante le 52 settimane visepegenatide è stata sospesa in 12 pazienti, in 6 dei quali (2%) a causa di eventi avversi (rispetto ai soli due pazienti che hanno sospeso il placebo a seguito di effetti avversi, nessuno grave)», proseguono. «In entrambi i gruppi i principali eventi avversi sono stati i disturbi gastro-intestinali, con una significativa differenza di frequenza tra visepegenatide (30.7%) e placebo (11%)», osservano Lisco e colleghi. «Gli effetti avversi gastro-intestinali nel braccio visepegenatide sono stati transitori e di lieve entità in 2/3 dei casi e moderati nel restante terzo. I disturbi gastro-intestinali più frequenti sono stati diarrea e nausea (8%), meteorismo (6.6%) e vomito (5.8%)», riportano gli specialisti. «Sono stati registrati 6 episodi di ipoglicemia in 6 pazienti trattati con visepegenatide (3 asintomatiche, 2 relative e 1 solo episodio sintomatico) e 1 ipoglicemia asintomatica nel braccio placebo», continuano gli esperti. «Complessivamente sono stati riportati 10 eventi avversi gravi (non dettagliati nell’articolo) in 9 pazienti del braccio visepegenatide e 3 in 2 pazienti del braccio placebo», riferiscono gli specialisti. «La frequenza di effetti avversi nel gruppo assegnato a visepegenatide si è ridotta significativamente nel tempo, divenendo sostanzialmente comparabile con quanto registrato nel braccio placebo durante la fase di estensione».

«I risultati di questo studio hanno dimostrato efficacia e tollerabilità del trattamento con visepegenatide in pazienti con DM2 naïve», osservano Lisco e colleghi. «In linea con i risultati ottenuti dai GLP-1 RA giornalieri, iniettivi ed orale e settimanali a bassi dosaggi, visepegenatide sembra garantire risultati sovrapponibili in termini di riduzione di HbA1c e del peso corporeo nei soggetti sovrappeso/obesi dopo 24 e 52 settimane di trattamento, in assenza di episodi di ipoglicemia significativi», commentano gli esperti. «La frequenza di eventi avversi descritta è apparsa in linea, se non leggermente inferiore, a quanto riportato in letteratura nei riguardi di altri GLP-1 RA», riportano gli specialisti. «La frequenza degli effetti avversi tende a scomparire nel corso delle settimane di terapia, divenendo comparabile al placebo dopo 24 settimane», continuano gli esperti. «Gli effetti “extra-glicemici” (es su profilo lipidico e pressorio) sembrano tendenzialmente in linea con quanto riportato dai dati di letteratura su altri GLP-1 RA e molecole ad azione “cardio-protettiva” come gli SGLT-2 inibitori (Lisco G, et al. Endocrines 2024)», riferiscono gli specialisti.

«Quanto ai messaggi finali, è doveroso fare alcune considerazioni e precisazioni», proseguono gli esperti. «In primo luogo, nonostante la natura multi-centrica dello studio, che ha visto coinvolti 30 centri diabetologici, la numerosità campionaria appare esigua e appena sufficiente per testare l’ipotesi primaria», osservano Lisco e colleghi. «Pertanto, tutte le analisi secondarie riportate (sotto-analisi in base a genere, grado di compenso, funzionalità renale, BMI) risentono di questo limite», commentano gli esperti. «In secondo luogo, è opportuno contestualizzare la bontà di questi risultati alla popolazione asiatica», riportano gli specialisti. «Per aspetti epidemiologici, genetici, fisiopatologici ed epigenetici legati allo stile di vita e all’alimentazione, esiste una notevole differenza tra il DM2 nella popolazione asiatica e in quella caucasica», continuano gli esperti. «Rispetto ai corrispettivi caucasici, i pazienti asiatici con pre-diabete e DM2 non presentano una particolare alterazione dell’asse incretinico endogeno, né a digiuno, né in fase post-prandiale», riferiscono gli specialisti. «Inoltre, gli asiatici presentano maggiore sensibilità periferica all’azione dell’insulina, che sembra compensare la marcata riduzione della riserva ß-cellulare che condiziona un deficit insulinico precoce e progressivo, vera caratteristica distintiva del pre-diabete e DM2 nella popolazione asiatica (Cho YM. J Diabetes Investig 2015)», proseguono gli esperti. «Ciononostante, i pazienti asiatici presentano una marcata risposta della secrezione insulinica a carico di pasti misti, con una secrezione insulinica post-prandiale che risulta maggiore rispetto a quella dei pazienti caucasici», osservano Lisco e colleghi. «Infine, è opportuno sottolineare che la popolazione asiatica presenta una maggiore prevalenza di obesità viscerale e di steatosi epatica non alcolica (NAFLD), che rappresentano fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di DM2», commentano gli esperti.

«In conclusione, i risultati di questo studio suggeriscono che visepegenatide potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica per i pazienti con DM2 naïve, soprattutto in considerazione del buon profilo di tollerabilità e della riduzione del peso», riferiscono gli specialisti. «Elevati livelli circolanti di incretine, sia endogene, come accade in corso di terapia con DPP-4 inibitori, che esogene, in caso di somministrazione di GLP-1 RA, e, di conseguenza, una risposta migliore al trattamento rispetto ai pazienti caucasici (Liu X, et al. Front Pharmacol 2023)», proseguono gli esperti. «Studi futuri che coinvolgano un maggior numero di pazienti, con etnie differenti e differenti stadi di DM2, chiariranno meglio il profilo di efficacia e sicurezza di questa molecola», concludono Lisco e colleghi.

Lancet Reg Health West Pac 2024, 47: 101101. doi: 10.1016/j.lanwpc.2024.101101.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38948164/

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