La calcolosi renale è una delle condizioni più comuni in nefrologia, ma dietro le forme recidivanti può celarsi una causa genetica rara come l’iperossaluria primaria. “Circa il 10% della popolazione – spiega Pietro Manuel Ferraro, professore ordinario di Nefrologia all’Università di Verona – soffre di calcolosi renale nel corso della vita. Tra questi, alcuni pazienti presentano una tendenza alla formazione continua di calcoli, con un rischio maggiore di evoluzione verso la malattia renale cronica. In questi casi è fondamentale riconoscere i possibili segnali d’allarme di un disordine metabolico sottostante”. Tra i campanelli che dovrebbero far sospettare un’eziologia genetica, Ferraro cita “un esordio in età infantile o giovanile, intorno ai 20 anni, una forte familiarità – con almeno due parenti affetti da calcolosi –, la riduzione del filtrato glomerulare, quindi segni di malattia renale cronica, e la presenza di manifestazioni extrarenali, come il coinvolgimento di occhio, orecchio o altri organi”.
Un elemento centrale, sottolinea Ferraro, è la collaborazione con i centri di riferimento per le malattie rare e con i laboratori di genetica. “È difficile – osserva – che un medico operante in contesti non dedicati possa avere familiarità con tutte le condizioni rare che possono causare una calcolosi recidivante. Per questo è fondamentale fare rete con centri regionali o macroregionali specializzati, dove sono disponibili competenze cliniche e strumenti diagnostici avanzati, incluse le analisi genetiche. L’accesso a queste strutture permette di ridurre i tempi diagnostici e di orientare rapidamente il paziente verso le nuove terapie disponibili, come i trattamenti a base di RNA interferente (siRNA) che stanno aprendo prospettive concrete per i pazienti con iperossaluria primaria”. Resta tuttavia complesso il percorso di cura, che richiede un approccio realmente multidisciplinare. “Questi pazienti – prosegue Ferraro – presentano spesso un coinvolgimento sistemico, con danni a carico di cuore, ossa, occhi o altri organi. È quindi essenziale che vi sia una rete di specialisti esperti della patologia, cosa che nella pratica quotidiana non è sempre possibile. Da qui l’importanza di centri di riferimento dove si concentrino le competenze e le esperienze necessarie per gestire casi rari e complessi”.
Un’ulteriore criticità è di natura logistica e laboratoristica: “Molti esami fondamentali non sono disponibili in modo capillare sul territorio. Serve una migliore integrazione tra territorio e centri specialistici, affinché i test diagnostici avanzati possano essere eseguiti in tempi rapidi e condivisi con i clinici che seguono il paziente”. Secondo Ferraro, il futuro della gestione dell’iperossaluria primaria e della calcolosi recidivante passa dunque da un duplice investimento: nella conoscenza specialistica e nella costruzione di reti cliniche funzionali. “Solo così – conclude – sarà possibile offrire ai pazienti diagnosi tempestive e percorsi terapeutici personalizzati, evitando che una condizione apparentemente comune come la calcolosi nasconda un disordine metabolico grave ma oggi finalmente trattabile”.