Identificare i soggetti a rischio prima della comparsa dei sintomi motori e intervenire con percorsi di prevenzione e terapie neuroprotettive potrebbe cambiare la storia clinica della malattia di Parkinson. È quanto riferito da Leonardo Lopiano, professore di Neurologia all’Università degli Studi di Torino e Azienda ospedaliera Città della Salute e della Scienza, intervenuto al 55° Congresso della Società Italiana di Neurologia (Sin).
La malattia di Parkinson è la seconda patologia neurodegenerativa più frequente dopo l’Alzheimer e interessa in Italia circa 300.000 persone. L’esordio può verificarsi anche prima dei cinquant’anni e, come per molte altre malattie neurodegenerative, il processo di neurodegenerazione può precedere la diagnosi clinica di cinque, dieci o più anni. La ricerca sta lavorando all’individuazione di biomarcatori e strumenti di riconoscimento precoce, con l’obiettivo di identificare le persone a rischio e programmare un intervento preventivo.
Secondo Lopiano, uno stile di vita sano conserva un ruolo rilevante, ma la possibilità di anticipare la diagnosi consentirebbe anche l’utilizzo di farmaci con potenziale effetto neuroprotettivo, mirati a rallentare la progressione della malattia nelle fasi iniziali.
Un’altra area cruciale riguarda la fase avanzata. Dopo anni di buon controllo con le terapie tradizionali, alcuni pazienti sviluppano fluttuazioni motorie e discinesie, con alternanza tra periodi di buona mobilità e blocchi motori significativi. Per questa fase sono disponibili diverse strategie: stimolazione cerebrale profonda, infusioni intestinali di levodopa e infusioni sottocutanee continue di apomorfina.
Tra le novità degli ultimi anni, Lopiano ha richiamato l’attenzione sull’infusione sottocutanea continua di levodopa, erogata tramite dispositivo portatile fino a 24 ore. Tale modalità può contribuire a ridurre blocchi motori e discinesie, migliorando in modo significativo la qualità di vita dei pazienti nella fase complicata della malattia.
La tecnologia sta assumendo un ruolo crescente anche nel monitoraggio. Strumenti di sensoristica, raccolta dati in ambito domiciliare e applicazioni di intelligenza artificiale sono in fase di sviluppo per supportare la personalizzazione dei trattamenti e l’ottimizzazione della stimolazione cerebrale profonda, con prospettive di integrazione tra metodo clinico e sistemi digitali.
Secondo Lopiano, l’evoluzione futura della gestione del Parkinson unirà competenze neurologiche, soluzioni tecnologiche e interventi mirati nelle diverse fasi di malattia, con l’obiettivo di mantenere la migliore qualità di vita possibile lungo tutto il percorso assistenziale.