I disturbi neurologici funzionali (DNF) rappresentano una delle sfide emergenti per la neurologia contemporanea. Crisi non epilettiche, tremore, paresi, distonia, disturbi della marcia o del dolore: sintomi reali e invalidanti, non riconducibili a lesioni cerebrali evidenti, ma a disfunzioni del funzionamento neurologico. Proprio questa caratteristica li rende potenzialmente reversibili, a patto che vengano diagnosticati e trattati precocemente.
Questo dato rappresenta un paradosso clinico: nonostante l’esistenza di approcci efficaci, questi disturbi continuano a essere diagnosticati in ritardo e trattati in modo frammentario, con gravi conseguenze per i pazienti e un considerevole aggravio per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN). La diagnosi arriva in media dopo sei anni dall’esordio dei sintomi, durante i quali il paziente attraversa numerosi consulti specialistici, diagnosi errate e trattamenti inefficaci. Questo fenomeno ha un costo elevato: secondo una stima condotta presso il Centro Regionale Specializzato per la Malattia di Parkinson e Disturbi del Movimento dell’AOUI di Verona, un singolo paziente può generare una spesa complessiva di oltre 13.000 euro prima di ricevere la diagnosi corretta, di cui circa 9.000 a carico del Sistema Sanitario Regionale.
I dati raccolti dal Registro Italiano dei Disturbi Motori Funzionali (RI-DMF) mostrano come il 75% dei pazienti avesse ricevuto diagnosi errate di patologie neurologiche organiche, e solo dopo una media di tre consulti specialistici è stata formulata una diagnosi corretta di disturbo funzionale”.
“I DNF non sono simulazioni né condizioni esclusivamente psicologiche, ma vere disfunzioni neurologiche con basi neurobiologiche documentate – spiega Michele Tinazzi, responsabile del Centro veronese –. Grazie al neuroimaging sappiamo che il problema risiede in una dissociazione tra intenzione e percezione del movimento, con alterazioni misurabili nelle aree cerebrali deputate al controllo motorio”.
“Un elemento chiave nella gestione di questi disturbi – spiega il Professor Giovanni De Fazio, Ordinario di Neurologia presso l'Università degli Studi di Bari - è la diagnosi, che deve basarsi su segni clinici positivi, coerenti e riproducibili, come previsto dai criteri diagnostici più aggiornati. Tuttavia, un’indagine pubblicata di recente, condotta su neurologi italiani ha rivelato che, sebbene i clinici più esperti tendano a utilizzare più frequentemente questi segni, molti strumenti diagnostici fondamentali rimangono sottoutilizzati nella pratica quotidiana, soprattutto per quanto riguarda i disturbi motori funzionali. Al contrario, i segni clinici delle crisi non epilettiche risultano essere più familiari, probabilmente grazie alla più lunga tradizione diagnostica associata all’uso dell’elettroencefalogramma”. Questa disparità sottolinea la necessità di una formazione più mirata, soprattutto per i neurologi generali e i giovani clinici”.
L’indagine ha, inoltre, messo in luce come le strategie di comunicazione della diagnosi siano generalmente condivise tra le diverse sottospecialità neurologiche, ma appaiano ancora poco strutturate.
"La Società Italiana di Neurologia (SIN) intende porre con decisione all’attenzione delle Istituzioni la necessità di un riconoscimento formale dei disturbi neurologici funzionali all'interno delle patologie contemplate dal SSN. È altrettanto fondamentale definire percorsi clinici specifici, strutturati e multidisciplinari per garantire una presa in carico appropriata dei pazienti – dichiara il Professor Alessandro Padovani, Presidente della SIN - Si tratta di una richiesta basata su evidenze scientifiche consolidate e sull’esperienza clinica maturata negli anni dai neurologi, che si confrontano con una condizione ancora troppo spesso fraintesa, trascurata o, peggio, confusa con disturbi psichiatrici o attribuita, erroneamente, a una simulazione volontaria dei sintomi."
“Senza un riconoscimento formale e senza percorsi condivisi – aggiunge Padovani - i pazienti restano soli in un sistema che non sa dove collocarli, né come accompagnarli nel loro percorso di cura. È tempo che la realtà scientifica trovi riscontro anche nell’organizzazione sanitaria”.
In questo scenario, il medico di medicina generale (MMG) assume un ruolo strategico. In quanto primo interlocutore del paziente e figura di riferimento stabile, il MMG è nella posizione ideale per sospettare un disturbo funzionale, evitare accertamenti inappropriati e indirizzare precocemente il paziente verso un neurologo esperto. Tuttavia, la limitata conoscenza del quadro clinico specifico rappresenta ancora una barriera all’identificazione precoce. Da qui nasce l’esigenza di programmi formativi rivolti alla medicina generale mirati nel migliorare la capacità diagnostica e comunicativa dei MMG.
"Non è solo una questione medica, ma di giustizia sanitaria: riconoscere i DNF e costruire una rete assistenziale dedicata significa restituire dignità a migliaia di persone, troppo a lungo ignorate dalla burocrazia e escluse da percorsi terapeutici adeguati." conclude il Professor Padovani.