Uno studio pubblicato su eLife suggerisce che l’eccessiva attività dei neuroni dopaminergici possa avere un ruolo diretto nella loro morte precoce, contribuendo alla comparsa dei sintomi tipici della malattia di Parkinson.
Da tempo è noto che un sottogruppo di neuroni della substantia nigra, l’area del cervello che controlla i movimenti, va incontro a degenerazione nella malattia. Non era però chiaro il motivo di questa vulnerabilità. I ricercatori hanno osservato che un’attivazione prolungata di queste cellule porta progressivamente a degenerazione e morte neuronale.
Le analisi hanno mostrato alterazioni nei meccanismi di regolazione del calcio e nella produzione di dopamina, che i neuroni sembrano ridurre per evitare livelli tossici. Nel tempo, tuttavia, questa risposta compensatoria porta a un esaurimento funzionale e alla perdita delle cellule stesse. Dati simili sono stati riscontrati anche in campioni cerebrali di pazienti con Parkinson nelle fasi iniziali.
“Pensiamo che i neuroni possano ridurre la produzione di dopamina per difendersi da un eccesso potenzialmente dannoso, ma questa strategia li espone a un progressivo declino fino alla morte”, spiega Katerina Rademacher, prima autrice dello studio.
Gli autori ipotizzano che l’iperattività neuronale possa essere il risultato di più fattori: predisposizione genetica, esposizione ambientale o la necessità dei neuroni residui di compensare la perdita di altre cellule. Questo meccanismo potrebbe innescare un circolo vizioso che accelera la progressione della malattia.
Secondo i ricercatori, modulare l’attività dei neuroni dopaminergici – con farmaci o con la stimolazione cerebrale profonda – potrebbe rappresentare una via per rallentare la progressione del Parkinson, che oggi interessa oltre 8 milioni di persone nel mondo.