Nel trattamento del diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato, l’ipercortisolismo endogeno rappresenta una condizione più diffusa di quanto precedentemente stimato e potrebbe spiegare, almeno in parte, la scarsa efficacia delle terapie convenzionali. Uno studio recentemente pubblicato su “Diabetes Care”, condotto da un team coordinato da Ralph A. DeFronzo dell’University of Texas Health Science Center e del Texas Diabetes Institute di San Antonio, evidenzia come l’impiego di mifepristone - un antagonista del recettore dei glucocorticoidi - abbia condotto a una riduzione clinicamente significativa dell’emoglobina glicata (HbA1c), associata anche a un calo ponderale e a una diminuzione della circonferenza vita. Si tratta di risultati che suggeriscono un nuovo possibile approccio terapeutico in un sottogruppo selezionato di pazienti, seppur con un profilo di tollerabilità da valutare con attenzione.
Lo studio era prospettico, multicentrico e condotto in doppio cieco. Vi hanno preso parte 136 individui con diabete di tipo 2 mal controllato (HbA1c compresa tra 7,5% e 11,5%), in trattamento con più farmaci ipoglicemizzanti. Tutti presentavano ipercortisolismo diagnosticato tramite test di soppressione con desametasone. I partecipanti sono stati randomizzati con rapporto 2:1 a ricevere mifepristone (n = 91) o placebo (n = 45), per una durata di 24 settimane, con stratificazione in base alla presenza o assenza di anomalie radiologiche a carico delle ghiandole surrenali.
Da segnalare che il valore medio di HbA1c al basale era pari all’8,55%. Dopo 24 settimane, la riduzione dell’HbA1c nei soggetti trattati con mifepristone è risultata significativamente maggiore rispetto al placebo, con una differenza media (LSM) di -1,32% (IC 95%: da -1,81 a -0,83; p < 0,001). In parallelo, si sono osservate riduzioni rilevanti anche nel peso corporeo (differenza LSM placebo-aggiustata: -5,12 kg; IC 95%: da -8,20 a -2,03) e nella circonferenza vita (-5,1 cm; IC 95%: da -8,23 a -1,99).
Di rilievo anche il dato relativo alla sospensione del trattamento, avvenuta nel 46% dei soggetti trattati con mifepristone, a fronte di un 18% nel gruppo placebo. Tra gli eventi avversi riferiti con maggiore frequenza (>10%) nei pazienti trattati con mifepristone figuravano ipopotassiemia, affaticamento, nausea, vomito, cefalea, edema periferico, diarrea e vertigini, coerenti con il profilo di tollerabilità noto del farmaco. Si sono inoltre registrati aumenti della pressione arteriosa.
Complessivamente, l’intervento farmacologico mirato sul recettore dei glucocorticoidi ha determinato un miglioramento del controllo glicemico e alcuni benefici metabolici accessori. Pur in presenza di eventi avversi non trascurabili, il rapporto rischio/beneficio appare favorevole, a condizione di un’attenta selezione dei pazienti e di uno stretto monitoraggio clinico.
A.Z.
Diabetes Care. 2025:dc251055. doi: 10.2337/dc25-1055.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40550011/