Una Commissione globale – composta da 56 esperti mondiali di varie specializzazioni cliniche, tra cui endocrinologia, medicina interna, chirurgia, biologia, nutrizione e sanità pubblica, in rappresentanza di molti paesi e di sistemi sanitari diversi - propone un nuovo approccio per la diagnosi dell'obesità che integra il BMI con misure di grasso corporeo e segni oggettivi di cattiva salute. La review è stata da poco pubblicata su “The Lancet Diabetes & Endocrinology”. Attualmente, il BMI non è una misura affidabile della salute individuale e può portare a diagnosi errate. La Commissione raccomanda pertanto di utilizzare misure come la circonferenza vita o la misurazione diretta del grasso corporeo per rilevare l'obesità, riducendo così il rischio di classificazione errata. Sono introdotte due nuove categorie diagnostiche: l'obesità clinica, una malattia cronica associata a disfunzioni degli organi dovute al grasso corporeo in eccesso, e l'obesità pre-clinica, che comporta un rischio variabile per la salute ma senza malattia in corso.
Secondo il Professor Francesco Rubino del King's College di Londra (UK), la questione se l'obesità sia una malattia è complessa. Alcuni individui con obesità possono mantenere una buona salute a lungo termine, mentre altri mostrano segni di malattia grave. La Commissione sottolinea che tutte le persone con obesità devono ricevere cure personalizzate e basate su evidenze, senza stigma, con strategie diverse per l'obesità clinica e pre-clinica.
Per diagnosticare l'obesità, la Commissione suggerisce di non basarsi solo sul BMI. Al contrario, propone di confermare l'eccesso di massa grassa (obesità) e la sua distribuzione nel corpo utilizzando uno dei seguenti metodi:
• Almeno una misurazione della dimensione corporea (circonferenza vita, rapporto vita-fianchi o rapporto vita-altezza) in aggiunta al BMI
• Almeno due misurazioni della dimensione corporea (circonferenza vita, rapporto vita-fianchi o rapporto vita-altezza) indipendentemente dal BMI
• Misurazione diretta del grasso corporeo (come mediante scansione della densitometria ossea o DEXA) indipendentemente dal BMI
• In persone con BMI molto elevato (ad esempio, >40 Kg/m2) l'eccesso di grasso corporeo può essere pragmaticamente assunto.
Nel documento l'obesità clinica è definita come una condizione di obesità associata a segni e/o sintomi oggettivi di ridotta funzione degli organi o capacità significativamente ridotta di svolgere le attività quotidiane standard, come fare il bagno, vestirsi, mangiare, etc. direttamente a causa del grasso corporeo in eccesso. Le persone con obesità clinica dovrebbero essere considerate come affette da una malattia cronica in corso e ricevere gestione e trattamenti appropriati. La Commissione ha stabilito 18 criteri diagnostici per l'obesità clinica negli adulti e 13 criteri specifici per bambini e adolescenti, inclusi:
• Affanno causato dagli effetti dell'obesità sui polmoni
• Insufficienza cardiaca indotta dall'obesità
• Dolore al ginocchio o all'anca, con rigidità articolare e riduzione del range di movimento come effetto diretto del grasso corporeo in eccesso sulle articolazioni
• Alterazioni specifiche delle ossa e delle articolazioni nei bambini e negli adolescenti che limitano il movimento
• Altri segni e sintomi causati dalla disfunzione di altri organi tra cui reni, vie aeree superiori, organi metabolici, sistema nervoso, urinario e riproduttivo e il sistema linfatico degli arti inferiori.
L'obesità pre-clinica, secondo la Commissione, è una condizione di obesità con normale funzione degli organi. Le persone che vivono con obesità pre-clinica non hanno quindi malattie in corso, sebbene abbiano un rischio variabile ma generalmente aumentato di sviluppare obesità clinica e diverse altre malattie non trasmissibili (MNT) in futuro, tra cui diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro e malattie mentali. Per questo motivo, dovrebbero essere supportate per ridurre il rischio di potenziali malattie.
Il Commissario Gauden Galea, dell'Ufficio Regionale dell'OMS per l'Europa, afferma: «I nuovi criteri diagnostici della Commissione colmano una lacuna nella nozione di diagnosi dell'obesità, in quanto consentono ai medici di differenziare tra salute e malattia a livello individuale. Speriamo che l'ampio sostegno al nuovo quadro e alla diagnosi dell'obesità da parte di molte importanti società scientifiche di tutto il mondo garantisca che una valutazione clinica sistematica dell'obesità diventi un requisito nei sistemi sanitari globali».
Il Commissario Louise Baur, dell'Università di Sydney (Australia), aggiunge: «Questo approccio sfumato all'obesità consentirà approcci basati su evidenze e personalizzati per la prevenzione, la gestione e il trattamento degli adulti e dei bambini che vivono con l'obesità, permettendo loro di ricevere cure più appropriate, proporzionate alle loro necessità. Questo risparmierà anche risorse sanitarie riducendo il tasso di diagnosi e trattamenti non necessari».
«Senz'altro è una pubblicazione di grande impatto» osserva il Dr. Marco Chianelli, coordinatore della Commissione Obesità AME (Associazione Medici Endocrinologi). «Non ricordo un report di 42 pagine sull'obesità pubblicato prima; è un lavoro che ha coinvolto molte persone esperte del settore con l'obiettivo di definire meglio l'obesità e la sua terapia. Sicuramente è un documento che ha molte informazioni e che ha il merito di proporre l'obesità come un problema emergente su cui i legislatori, le assicurazioni e i medici dovranno concentrarsi. L’obesità è un problema di salute pubblica e, in questo senso, il report senz'altro dà un grande contributo. Ne è la prova il fatto che la pubblicazione di questo articolo è stata oggetto di discussione mediatica a tutti i livelli, sia nel giornalismo di settore, sia in quello generale».
«L'obesità è spesso sottostimata e non vista come una malattia» continua l'esperto. «Questo documento ‘spinge’ affinché legislatori e clinici prestino maggiore attenzione. L'indice di massa corporea, o BMI, è attualmente il principale indicatore dell'obesità, ma presenta limiti, soprattutto negli anziani e negli atleti. Più del BMI, la circonferenza vita su cui il report insiste molto, è importante. Il documento fa un ulteriore passo avanti proponendo l'utilizzo del rapporto tra vita e fianchi o, ancora meglio, tra vita e altezza, cosa che l'Associazione Europea per lo Studio dell'Obesità (EASO) aveva già ben puntualizzato nel suo report su “Nature” di pochi mesi fa. Sono puntualizzazioni importanti che danno enfasi alla quantificazione del tessuto adiposo viscerale anche, laddove disponibili, attraverso tecniche diagnostiche di imaging, come la densitometria».
«Il report ha meriti ma anche limiti» sottolinea Chianelli. «Un merito è stato definire le priorità con cui l'obesità debba essere trattata; il report distingue tra obesità pre-clinica e clinica. Nella pre-clinica, l’obesità non viene considerata una patologia perché non è presente un danno d’organo dovuto all’obesità; quando è presente un danno d’organo, ad esempio delle articolazioni o dell’apparato cardiocircolatorio o respiratorio, l’obesità è considerata una malattia e il trattamento dell’obesità è ritenuto necessario. L’AME, tuttavia, e le principali società scientifiche italiane del settore e anche la EASO, partono dall’assunto che l’obesità è una malattia a prescindere dalla presenza di complicanze».
«In questo, c'è sia il limite che il pregio del report; vengono elencate ben 18 condizioni cliniche, direttamente mediate dall'eccesso di adiposità, la cui presenza definisce l’obesità come obesità clinica» osserva Chianelli. «In Italia, non è previsto il rimborso dei farmaci né per l'obesità complicata né per l'obesità non complicata. Se, per esempio, questo documento venisse recepito dai legislatori italiani, avremmo già 18 condizioni in cui il farmaco dovrebbe essere rimborsato. Questo è senz'altro un merito della review».
«Tuttavia», prosegue l’esperto «ciò è anche un limite per due motivi. Primo, perché il documento dice di essere evidence-based nel definire l'obesità come una malattia cronica che necessita di trattamento cronico. Però, nelle sue conseguenze, viene meno ai suoi presupposti. Il diabete, per esempio, non è considerato una complicanza dell'obesità, e quindi non è un’indicazione al trattamento dell’obesità. Ci sono, tuttavia, abbondanti prove scientifiche che dimostrano che una riduzione del peso corporeo maggiore del 15% nei pazienti con diagnosi di diabete da pochi anni possa indurre la remissione del diabete in più dell'85% dei pazienti».
«Un altro punto, basato sull'evidenza, è legato all'obesità preclinica, che nel documento è considerata come un fattore di rischio per sviluppare l'obesità clinica, come se l'obesità di per sé, non complicata, non fosse una malattia. Ma l'obesità è una malattia, perché ha un meccanismo patogenetico proprio e, grazie alla comprensione di questi meccanismi, sappiamo che è una malattia cronica, progressiva e invalidante» osserva Chianelli. «La vera contraddizione di questo report, a mio avviso, è che sostiene che l'obesità preclinica è un fattore di rischio riconosciuto per la progressione verso l'obesità clinica, e poi afferma che si debbano correggere i fattori di rischio per evitare che si sviluppino malattie successive. In realtà, il fattore di rischio è l'obesità stessa».
«C'è un controsenso nel trattare l'obesità solo quando c'è già un danno d'organo. L'obesità è una malattia progressiva che va curata precocemente, prima dello sviluppo delle complicanze. Se interveniamo solo quando c'è già un danno d'organo raramente reversibile, come per esempio la fibrosi epatica o l’erosione delle cartilagini articolari, stiamo ignorando il concetto di prevenzione» continua Chianelli. «È altrettanto un controsenso pensare che l'obesità non complicata non sia uno stato clinico importante. Anche nell'obeso cosiddetto metabolicamente sano, con glicemia, pressione e lipidi normali, l'aspettativa di vita è ridotta. Non esiste l'obeso sano perché, se una persona ha obesità, ha già una malattia».
«Un'altra cosa non riconosciuta da questo report è l'impatto psicologico dell'obesità sul paziente» aggiunge lo specialista. «L'obesità produce una condizione di stigma da parte della società, spesso anche della famiglia, creando disagio psicologico nel paziente e peggiorando la malattia stessa».
«Il report si definisce evidence-based, ma l'evidenza che abbiamo è che l'obesità è una malattia» rileva Chianelli. «Se non la trattiamo oggi, un paziente di 80 chili passerà a 90, poi a 100, e tenderà a svilupperà complicanze. Quando arriverà a 100 chili, tornare a 80 sarà piuttosto difficile. Intervenendo a 80 chili, è relativamente facile portare il paziente a 70 chili, prevenendo la progressione dell'obesità e delle sue complicanze. L'obesità dovrebbe essere trattata come altri fattori di rischio, come il colesterolo, che viene trattato per prevenire l'aterosclerosi e le malattie cardiovascolari. Trattare l'obesità fin dall'inizio è cruciale per prevenire complicanze gravi e migliorare la qualità della vita dei pazienti».
Nel documento si sottolinea anche l'aspetto che il trattamento solo della fase “clinica” della malattia rispetto a quella “pre-clinica” permetterebbe una maggiore sostenibilità in termini di risorse sanitarie. «Sul fronte della sostenibilità della terapia, la situazione è complessa» osserva Chianelli. «Sicuramente al momento non ci sono le risorse per trattare tutte le persone con obesità e dare la priorità alle categorie più fragili è giusto. Nei prossimi anni, comunque, il costo dei farmaci dovrebbe ridursi rendendo possibile la terapia di una parte sempre maggiore dei pazienti. Il beneficio clinico determinato dai farmaci per la terapia dell’obesità, unitamente alla disponibilità di numerose nuove molecole per la terapia dell’obesità e allo scadere dei brevetti, dovrebbe, col tempo, determinare una sempre maggiore diffusione delle cure con conseguente riduzione dei costi. Nel Regno Unito il Sistema Sanitario Nazionale (NHS) fornisce gratuitamente le medicine per la terapia dell’obesità per due anni nei pazienti con obesità almeno di 2° grado; questo è stato reso possibile anche dalla contrattazione dei prezzi dei farmaci, grazie alla maggiore diffusione a carico dell’NHS».
«Il Ministero della Salute ha la responsabilità di elaborare i PDTA (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali)», ricorda Chianelli. «Recentemente, l'obesità è stata inclusa nel percorso della cronicità, anche se purtroppo senza risorse aggiuntive. Le linee guida attuali stabiliscono che, nei pazienti con obesità e complicanze metaboliche, la terapia medica debba essere intrapresa fin dall'inizio per ottenere risultati migliori. Ad esempio, trattare l'obesità può ridurre significativamente le apnee notturne o i rischi di un secondo infarto. Sarà un percorso che richiederà tempo, anni, ma con il continuo accumularsi di evidenze scientifiche a supporto dell'efficacia dei trattamenti, ritengo che il rimborso dei farmaci verrà progressivamente implementato» conclude Chianelli.
Arturo Zenorini
Lancet Diabetes Endocrinol 2025, S2213-8587(24)00316-4. doi: 10.1016/S2213-8587(24)00316-4.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39824205/