Farmaci
Ipertiroidismo
12/11/2024

Impatto della terapia anti-tiroidea sulla malattia di Graves: un follow-up di 25 anni

La malattia di Graves è una delle principali cause di ipertiroidismo. È stato condotto uno studio con l’obiettivo di studiare gli esiti 25 anni dopo l'inizio del trattamento con farmaci anti-tiroidei

Tiroide infiammata

La malattia di Graves è una delle principali cause di ipertiroidismo. «Mancano indagini dettagliate sui predittori di esito a lungo termine», afferma Michele Zini, Servizio di Endocrinologia, IRCCS Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia.

«È stato condotto uno studio con l’obiettivo di studiare gli esiti della m. di Graves 25 anni dopo l'inizio del trattamento con farmaci anti-tiroidei, in particolar modo: il decorso della malattia, i predittori clinici e biochimici di recidiva e la qualità della vita (QoL)», segnala Zini. «Metodi: è stato condotto un follow-up retrospettivo dei pazienti con m. di Graves che avevano partecipato a uno studio randomizzato dal 1997 al 2001 (Nedrebø BG, et al. Eur J Endocrinol 2002)», riporta l'endocrinologo. «I dati demografici e clinici sono stati ottenuti da cartelle cliniche e questionari», prosegue. «Sono stati analizzati i campioni della biobanca per individuare biomarcatori infiammatori, confrontandoli con individui sani della stessa età e sesso».

Risultati. «È stato incluso l'83% (182/218) dei pazienti dello studio originale», riferisce Zini. «Al termine del follow-up, è stata raggiunta normale funzionalità tiroidea senza necessità di trattamento nel 34% dei pazienti», riporta lo specialista. «I rimanenti presentavano: malattia attiva (1%); ipotiroidismo (66%): spontaneo (13%) o dopo tiroidectomia (13%) o trattamento ablativo con radioiodio (40%)», osserva l'endocrinologo. «Predittori di recidiva (fattori associati ad aumentato rischio): età ≤ 40 anni (odds ratio – OR– 3.22); presenza di orbitopatia di Graves (GO) (OR 2.26); fumo (OR 2.21); elevati livelli di interleuchina 6 (OR 1.99) e tumor necrosis factor receptor superfamily member 9 (TNFRS9) (OR 2.36)», riferisce Zini. «Alla fine del follow-up, il 47% aveva sviluppato una o più malattie autoimmuni, tra cui carenza di vitamina B12 (26%, percentuale attribuita indirettamente ad autoimmunità sulla base delle prescrizione della vitamina), ipotiroidismo autoimmune (6%), artrite reumatoide (5%), celiachia (3%), artrite psoriasica (3%), diabete mellito tipo 1 (2%), vitiligine (2%), malattia infiammatoria intestinale (2%), oltre a sclerosi multipla, vasculite, LES, arterite giganto-cellulare, spondilo-artrite, sindrome di Sjögren, colangite biliare primaria, trombocitopenia autoimmune (tutti ≤ 1%)», elenca l'endocrinologo. «I pazienti con GO che hanno sviluppato ipotiroidismo avevano una QoL ridotta», riporta lo specialista. «Conclusioni: è indicato un attento monitoraggio permanente per tutta la vita per rilevare recidive, sviluppo di ipotiroidismo e di altre malattie autoimmuni», riferisce Zini. «I dati indicano che la terapia anti-tiroidea farmacologica a lungo termine rappresenta un'opzione terapeutica di prima linea adeguata, soprattutto nei pazienti con giovane età all'esordio, negli anziani nei quali è possibile mantenere buon compenso funzionale con basse dosi di farmaci anti-tiroidei, o in presenza di GO».

«Il presente lavoro affronta una tematica importante per i pazienti affetti da ipertiroidismo da m. di Graves, e cioè gli esiti a lungo termine di questa patologia», commenta lo specialista. «In particolare, viene riportato che al termine del periodo di osservazione circa 1/3 dei pazienti rimane eutiroideo, mentre circa la metà ha ricevuto trattamento ablativo (radioiodio o chirurgia) con conseguente ipotiroidismo; gli altri hanno sperimentato un’evoluzione spontanea verso l’ipotiroidismo, mentre solo una piccola quota rimane clinicamente attiva con necessità persistente di trattamento farmacologico», osserva Zini. «Il trattamento anti-tiroideo con metimazolo è generalmente ben tollerato, con effetti collaterali che solo raramente sono gravi (a carico prevalentemente di midollo osseo e fegato)», prosegue l'esperto. «Gli effetti collaterali più frequenti (leucopenia lieve e transitoria, modesto aumento delle transaminasi, intolleranza cutanea) sono anche i meno gravi e i più facilmente gestibili. Cionondimeno, quando il fabbisogno di trattamento tireostatico a dose medio alta si protrae a lungo a causa della persistenza in fase attiva della m. di Graves, è opportuno prendere in considerazione un trattamento ablativo per la risoluzione definitiva dell’ipertiroidismo», osserva Zini.

«Di particolare rilievo per il clinico è quindi comprendere se e quando un determinato paziente andrà incontro a remissione clinica, cioè se manterrà una funzione tiroidea spontaneamente normale dopo la sospensione del trattamento farmacologico (Struja T, et al. Eur J Endocrinol 2017; Shi H, et al. Clin Ther 2020)», prosegue l’esperto. «A questo scopo vanno tenuti presenti alcuni elementi clinici: elementi associabili a ridotta possibilità di remissione clinica sono la giovane età (≤ 40 anni), l’ipertiroidismo clinicamente grave all’esordio, la presenza di gozzo, il fumo e secondo alcuni anche la presenza di GO», commenta Zini. «Molto dubbio è il significato degli anticorpi anti-recettore per il TSH: mentre sembra certo che l’elevato titolo alla diagnosi abbia poco a che vedere con la possibilità di remissione, vi sono dati (anche se incerti e contraddittori) che una riduzione stabile del titolo anticorpale nel tempo possa essere predittiva di remissione di malattia», riferisce l'endocrinologo. «Peraltro, è esperienza comune che pazienti con negativizzazione degli anticorpi possano mantenere ugualmente persistente fabbisogno di metimazolo».

«Di fatto, è necessario ad ogni controllo verificare la persistenza di effettiva necessità di trattamento con metimazolo, cercando ogni volta di ridurne la posologia se possibile», continua lo specialista. «La verifica sul campo è l’unico modo certo di saggiare se l’ipertiroidismo è in corso di remissione clinica. Una volta svezzato il paziente dal trattamento, la possibilità di recidiva andrà verificata con il controllo periodico di TSH (sempre con algoritmo reflex), soprattutto in caso di ricomparsa di sintomatologia suggestiva per ipertiroidismo», sottolinea Zini.

«Per quanto riguarda la GO, un serio problema è rappresentato dalla tendenza alla refrattarietà alle terapie (anche se qualche speranza viene dagli anticorpi monoclonali) e dal peggioramento della QoL in caso di marcata compromissione clinica, soprattutto della motilità oculare estrinseca», continua l’esperto. «L’utilizzo del radioiodio è problematico in questi casi, con la necessità di profilassi cortisonica. È stato riportato che la tiroidectomia totale potrebbe avere un effetto favorevole sull’andamento della GO, ma i dati in proposito non sono conclusivi e l’esperienza personale di chi scrive non conferma questa possibilità».

«In questo lavoro si riporta che il 40% dei pazienti è stato trattato con radioiodio», riferisce lo specialista. «Il ricorso a questa terapia ha ampie variazioni loco-regionali, e probabilmente in Italia la percentuale di tale trattamento per ipertiroidismo è inferiore. Tuttavia, è opportuno ricordare che questa terapia è praticamente priva di effetti collaterali significativi (ad eccezione dello sviluppo di ipotiroidismo, che è di fatto un effetto desiderato), è di grande efficacia, riduce le dimensioni del gozzo (in media del 30%) ed è ben tollerata», prosegue lo specialista. «Il radioiodio rappresenta, quindi, un ottimo strumento per il trattamento definitivo dell’ipertiroidismo, cui dovremmo forse ricorrere più frequentemente selezionando il paziente giusto: la propensione ad utilizzarlo aumenta all’aumentare dell’età e al diminuire della componente nodulare del gozzo, ed è necessario valutare attentamente la presenza di GO in fase attiva».

J Clin Endocrinol Metab 2024, 109: 827–36. doi: 10.1210/clinem/dgad538.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37747433/

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