Il carcinoma tiroideo è la neoplasia endocrina più frequente e la sua incidenza è in progressivo aumento. «Le forme differenziate (CDT) costituiscono circa il 90% dei casi, per la maggior parte rappresentate dal carcinoma papillare, la cui sopravvivenza a 10 anni è > 90%, anche se vi è un rischio di recidiva del 7-23% a seconda dei fattori di rischio» ricorda Ambra Uliana, ULSS2 Marca Trevigiana, Medicina Interna 2, Ospedale Ca’ Foncello, Treviso. «Il trattamento di prima scelta è costituito dalla terapia chirurgica, mentre la terapia adiuvante con radioiodio (RAI) viene effettuata in presenza di fattori di rischio (es. metastasi linfonodali, residui microscopici, dimensioni del tumore ≥ 4 cm, estensione extra-tiroidea, biologia aggressiva). Generalmente, nei casi di completa resecabilità della neoplasia non vi è indicazione alla radioterapia post operatoria (PORT), definita come radioterapia a fasci esterni (EBRT) mirata sulla loggia tiroidea o sui linfonodi loco-regionali. Tuttavia, questa può essere presa in considerazione in casi selezionati di persistenza di malattia loco-regionale dopo trattamento con RAI e fattori prognostici sfavorevoli o anche nei pazienti ad alto rischio di presenza di residuo microscopico post-operatorio e con ridotta capacità di captazione del RAI».
Di recente è stato pubblicato uno studio retrospettivo, eseguito in un centro universitario coreano, con l’obiettivo di «valutare l’efficacia e la sicurezza della PORT dopo chirurgia iniziale nei pazienti affetti da CDT ad alto rischio di recidiva (definito secondo i criteri di inclusione sotto-riportati)» segnala Uliana. Questi i criteri di inclusione. «Pazienti trattati per CDT tra il 1985 e il 2019, sottoposti dopo la tiroidectomia a PORT o con una delle seguenti caratteristiche istologiche: pT4 o pN1b, carcinoma scarsamente differenziato, caratteristiche biologiche di aggressività (presenza di foci anaplastici (< 10%), varianti a cellule alte, metaplasia squamosa, sclerosante diffusa)» riferisce Uliana. «Criteri di esclusione: età ˂ 18 anni, trattamento a scopo palliativo, follow-up ˂ 1 anno». Quanto alla metodologia, «è stata analizzata la documentazione medica elettronica di 187 pazienti» riferisce la specialista. «Sono stati estratti i dati dei 54 pazienti sottoposti a PORT dopo l’intervento iniziale, in base alle indicazioni in uso presso il centro ove si è svolto lo studio (stadio TNM, stato del residuo, istologia meno differenziata, tendenza a bassa avidità per il radioiodio), abbinandoli secondo “propensity matching” a quelli di 54 pazienti non sottoposti a PORT, ma con caratteristiche istologiche simili». Questi gli obiettivi primari: «confrontare tra i pazienti trattati e non trattati con PORT i tassi di sopravvivenza libera da recidiva locale (local recurrence free survival, LRFS), libera da metastasi a distanza (distant metastasis-free survival, DMFS), tumore-specifica (cancer-specific survival, CSS), complessiva (overall survival, OS) e la progressione di malattia». Gli obiettivi secondari erano: «tossicità acuta o tardiva secondarie al trattamento radioterapico».
Questi i risultati, riferisce Uliana: «i due gruppi (trattati e non trattati con PORT) avevano: a) caratteristiche simili per età, sesso, stadiazione del carcinoma alla diagnosi, istologia, presenza di invasione linfo-vascolare, residuo di malattia; b) differivano per ricorso a RAI (effettuata nel 76% dei pazienti del gruppo non trattato con PORT vs il 26% dei pazienti nel gruppo trattato) e tipo di trattamento chirurgico (tiroidectomia totale in tutti i trattati con PORT e nell’85% dei non trattati con PORT, mentre il 13% dei pazienti di questo secondo gruppo era stato sottoposto a tiroidectomia subtotale, e il tipo di intervento non era noto nel restante 2%). Il follow-up mediano è stato di 10 anni». Recidiva di malattia: «nel gruppo di pazienti sottoposto a PORT si è osservato un aumento di LFRS (86.1% vs 72.7%, p = 0.022), senza differenze di DMFS e CSS. Il tempo intercorso tra intervento chirurgico e comparsa di recidiva loco-regionale è stato di circa 20.4 mesi» riporta l’esperta.
«La presenza di invasione linfo-vascolare e/o di residuo di malattia sono risultati fattori prognostici negativi in termini di LFRS, mentre l’unico fattore prognostico protettivo è risultato il trattamento con PORT (HR 0.3, IC 95% 0.1–0.8, p = 0.02)» continua Uliana. «L’età ≥ 55 anni è risultata associata a maggior rischio di metastasi a distanza, mentre sono risultati correlati a maggior rischio di mortalità il carcinoma scarsamente differenziato e la presenza alla diagnosi di metastasi ai linfonodi laterali del collo. 57/133 pazienti che non erano stati sottoposti a PORT iniziale hanno avuto una recidiva loco-regionale. Dopo la chirurgia per la recidiva, 39/57 sono stati anche trattati con radioterapia locale adiuvante, con un trend non significativo a miglioramento di LFRS nel follow-up a 5 anni (62.4% vs 40.0%, p = 0.258)». In relazione alla tossicità da EBRT, «durante il trattamento» prosegue la specialista «non si è verificata nessuna reazione avversa tale da richiederne la sospensione. a) Disturbi più comuni: moderata esofagite (80%) e dermatite (79%). b) Tossicità tardiva: xerostomia (37%) e raucedine (31%). c) Tossicità cronica: lieve disfagia (19%) e fibrosi del collo (26%)».
«L'efficacia e l’indicazione al trattamento radioterapico loco-regionale post-operatorio nei CDT sono ancora controverse» osserva Uliana. «In questo studio il trattamento con PORT è stato riservato ai pazienti affetti da CDT con caratteristiche di alto rischio, mentre negli studi precedenti l'indicazione veniva posta principalmente per i carcinomi localmente avanzati (pT4 o pN1). Da questo studio emerge un minor rischio di recidiva loco-regionale nei pazienti trattati con PORT post-chirurgia iniziale, in assenza di benefici in termini di DMFS, CSS e OS. Il miglioramento della LFRS è in linea coi risultati di altri studi retrospettivi; in alcuni studi veniva riportato anche un miglioramento degli altri parametri, in particolare DMFS e CSS. Ciò può essere spiegato dalle diverse caratteristiche di base dei pazienti (grosse dimensioni della neoplasia alla diagnosi, minor coinvolgimento linfonodale o istologia meno aggressiva rispetto ai pazienti selezionati in questo studio). Un’altra considerazione è che la riduzione del rischio di recidiva locale permetta di evitare un reintervento chirurgico del distretto testa collo, che per motivi anatomici può comportare conseguenze di forte impatto sulla qualità di vita».
Questi i limiti dello studio: «a) disegno retrospettivo, con possibili bias di selezione e raccolta dei dati; b) coorte di pazienti esigua, con una differenza significativa tra i due gruppi riguardo al trattamento post operatorio con RAI; c) non tutti i pazienti sono stati sottoposti post-chirurgia a un’indagine scintigrafica corporea totale con I-131 per identificare quelli che avrebbero potuto avere una buona risposta anche con RAI».
«Gli autori concludono che la PORT si associava a minor tasso di recidiva loco-regionale, in assenza di grave tossicità» riporta Uliana. «Segnalano comunque che le indicazioni per la PORT rimangono controverse, per cui sono necessari ampi studi mirati e con follow-up a lungo termine per identificare correttamente la popolazione che ne può trarre beneficio. Inoltre, prima di decidere il tipo di trattamento è importante tener conto della captazione del radioiodio».
Clin Endocrinol 2023, 98: 803-12. doi: 10.1111/cen.14865.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36535908/