Clinica
Cardiologia
14/05/2025

Abbassare la pressione può ridurre il rischio di demenza del 15%. Lo studio

È quanto emerge dal maxi studio CRHC-3 condotto in Cina su quasi 34.000 persone, pubblicato su Nature Medicine

medico pressione visita

Abbassare la pressione arteriosa nei pazienti ipertesi può ridurre del 15% il rischio di sviluppare demenza. È quanto emerge dal maxi studio CRHC-3 condotto in Cina su quasi 34.000 persone, pubblicato su Nature Medicine. Un risultato che rafforza l’idea di un legame diretto tra ipertensione e declino cognitivo e apre nuove prospettive di prevenzione, anche su scala globale.

Uno studio su larga scala

Il trial, denominato China Rural Hypertension Control (CRHC-3), ha coinvolto 33.995 adulti sopra i 40 anni con ipertensione non controllata. I partecipanti sono stati seguiti per quattro anni: metà ha ricevuto cure usuali, l’altra metà un intervento attivo con il coinvolgimento di medici di comunità (i cosiddetti "village doctors") incaricati di titolare la terapia fino a raggiungere valori pressori target di <130/80 mmHg.

Alla fine dello studio
• La pressione arteriosa media è scesa di 22/9,3 mmHg nel gruppo di intervento.
• Il rischio di demenza si è ridotto del 15% (668 casi contro 734 nel gruppo di controllo).
• Anche il declino cognitivo non demenziale è stato inferiore nel gruppo di trattamento (-16%).

Non sono emerse differenze significative tra i gruppi per quanto riguarda cadute, sincopi o eventi avversi gravi, mentre morti e ospedalizzazioni sono state leggermente inferiori nel gruppo trattato.

“Un risultato storico”

«Il nostro è il primo studio a riportare una riduzione statisticamente significativa del rischio di demenza grazie al trattamento antipertensivo», ha dichiarato il coordinatore Jiang He dell’UT Southwestern Medical Center.

Anche esperti indipendenti come Mark Caulfield, docente di medicina cardiovascolare a Londra, hanno definito i risultati «una svolta significativa» e «potenzialmente trasformativa per le linee guida globali sulla pressione arteriosa».

Coerenza con altri studi

Lo studio CRHC-3 conferma quanto osservato anche in ambienti molto diversi, come il trial SPRINT MIND negli Stati Uniti, dove un controllo pressorio più stretto ha ridotto del 19% il rischio di lieve compromissione cognitiva. Anche se in quel caso il dato sulla demenza non era statisticamente significativo, la direzione dell’effetto è la stessa.

«Quando due grandi trial in contesti molto diversi giungono a conclusioni simili, si tratta di un segnale forte e affidabile», ha commentato Atticus Hainsworth, esperto di neurobiologia del St. George’s di Londra.

Implicazioni per la pratica clinica

La prevenzione della demenza rappresenta una delle principali sfide sanitarie globali: oggi oltre 55 milioni di persone convivono con la malattia, e si stima che il numero triplicherà entro il 2050.

La possibilità di intervenire sull’ipertensione, un fattore di rischio modificabile e molto diffuso, cambia lo scenario della prevenzione primaria. «Questi risultati suggeriscono che ogni medico di medicina generale o specialista che gestisce pazienti ipertesi sta anche facendo prevenzione delle demenze», osservano gli autori.

Un messaggio per la sanità pubblica

Il CRHC-3 è anche un esempio virtuoso di medicina territoriale: a guidare il trattamento non sono stati specialisti in grandi ospedali, ma operatori sanitari locali formati ad hoc. Un modello che potrebbe essere replicato anche in altri contesti a risorse limitate.

In sintesi, trattare l’ipertensione in modo proattivo non protegge solo cuore e reni: protegge anche la mente. E questa evidenza potrebbe – o dovrebbe – cambiare le politiche sanitarie del futuro.

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