Negli Stati Uniti, tra il 2018 e il 2022, 6.283 donne sono morte per cause legate alla gravidanza, di cui 1.891 dopo il 42° giorno dal parto. È quanto emerge da un’analisi pubblicata su JAMA Network Open e condotta dai ricercatori del National Cancer Institute dell’NIH. Il tasso annuale di decessi correlati alla gravidanza è aumentato del 27,7% in cinque anni: da 25,3 a 32,6 decessi ogni 100.000 nati vivi. Il picco si è registrato nel 2021 con 44,1 morti ogni 100.000.
L’aumento è stato trainato soprattutto dalle donne tra i 25 e i 39 anni (+36,8%). Le principali cause sono state patologie cardiovascolari durante la gravidanza e, per i decessi post-partum tardivi (fino a un anno dal parto), cancro, disturbi mentali e decessi indotti da droghe o alcol.
Secondo gli autori, queste morti riflettono un vuoto assistenziale nella transizione tra cure ostetriche e medicina di base. «Comprendere questo gap è essenziale per prevenire i decessi evitabili e ridurre le disuguaglianze», hanno scritto.
Le disparità razziali restano gravi: 106,3 decessi ogni 100.000 nati vivi tra le donne native americane e nativo-alaskane, 76,9 tra le donne nere, a fronte di 28,1 tra le donne bianche. Alcuni Stati mostrano tassi estremi: Alabama (59,7) e Mississippi (58,2) tra i più alti, California (18,5) e Minnesota (19,1) tra i più bassi. Se il Paese avesse mantenuto i tassi degli Stati migliori, 2.679 morti sarebbero state evitabili.
A livello globale, la fotografia è ancora più severa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2023 una donna è morta ogni due minuti per complicanze legate alla gravidanza o al parto, per un totale stimato di 260.000 decessi. Il 70% si verifica nell’Africa subsahariana. Le cause più frequenti restano emorragie ostetriche, sepsi, pre-eclampsia, aborti non sicuri e malattie preesistenti peggiorate dalla gravidanza. Il direttore dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato: «I dati mostrano spiragli di speranza, ma evidenziano quanto la gravidanza sia ancora pericolosa in molte parti del mondo».
Anche in Europa i progressi si sono rallentati. Alcune regioni hanno visto aumentare la mortalità, altre restano ferme. L’Italia si conferma tra i paesi a tasso più basso, ma i dati ufficiali del Sistema di Sorveglianza ISS-ItOSS mostrano ancora criticità. Tra il 2011 e il 2019, il tasso di mortalità materna è stato di 8,3 decessi ogni 100.000 nati vivi: 5,9 al Centro, 7,7 al Nord e 10,5 al Sud.
Le principali cause sono emorragie, sepsi, patologie cardiovascolari. In almeno 6 casi su 10, secondo l’ISS, la morte sarebbe stata evitabile con un’assistenza più tempestiva, coordinata e continua. Il problema non è solo medico ma anche organizzativo: l’età materna in crescita, l’alto numero di cesarei e le disuguaglianze territoriali rendono più fragile la risposta del sistema sanitario, specie nelle situazioni di emergenza.
Nonostante i dati italiani siano tra i migliori in Europa, ogni decesso materno rappresenta una sconfitta del sistema, perché quasi sempre legato a falle evitabili nella catena assistenziale. La sfida è colmare quei vuoti che — tra ospedali sovraccarichi e medicina territoriale frammentata — continuano a costare vite, anche nei paesi più avanzati.