Clinica
Cardiologia
30/10/2024

Rischio cardiovascolare, tra le donne italiane ancora poca consapevolezza

A confermarlo è lo studio Carin Women, condotto da Arca. con il contributo non condizionante di Daiichi Sankyo Italia e pubblicato sul “Journal of Clinical Medicine

Cardiologo cuore

La maggior parte delle donne italiane sottostima il proprio rischio cardiovascolare, non conosce tutti i fattori di rischio e, anche quando li conosce, non migliora il proprio stile di vita. A confermarlo è lo studio Carin Women, condotto da Arca. con il contributo non condizionante di Daiichi Sankyo Italia e pubblicato sul “Journal of Clinical Medicine”.

Lo studio, che ha coinvolto 5.590 donne in 49 ambulatori cardiologici italiani, rivela che le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nelle donne. Tuttavia, molte donne percepiscono ancora il cancro come la principale minaccia alla propria salute. Sebbene decenni di campagne abbiano sensibilizzato l'opinione pubblica sull'impatto delle malattie cardiovascolari sulle donne, queste ultime rimangono poco arruolate negli studi clinici, poco diagnosticate e poco trattate.

L'obiettivo principale della survey era determinare il livello di consapevolezza delle donne relativamente al proprio rischio cardiovascolare (Rcv), alle differenze tra i generi, alla conoscenza dei fattori di rischio e al loro impatto sugli eventi cardiovascolari. Tra i fattori di rischio tradizionali figurano ipertensione arteriosa, diabete mellito, ipercolesterolemia e abitudine al fumo. I fattori di rischio non tradizionali comprendono complicazioni in gravidanza, malattie autoimmuni, trattamenti chemioterapici o radioterapici per il cancro al seno, ansia e depressione.

I risultati mostrano che il 23% delle partecipanti con un Rcv elevato e il 62% con un Rcv molto elevato hanno sottostimato il proprio rischio. Fino al 43% delle donne ha sottostimato il rischio cardiovascolare femminile rispetto a quello maschile. Sebbene il 94% delle intervistate fosse a conoscenza dei fattori di rischio tradizionali, solo una parte di loro conduceva uno stile di vita sano: il 21,8% era fumatrice, solo il 45,9% svolgeva sufficiente attività fisica e solo il 20,2% delle intervistate ha riconosciuto di essere in sovrappeso rispetto al 46,9% valutate dagli sperimentatori in base all’indice di massa corporea.

Inoltre, l'87,44% delle donne ha affermato la necessità di avere maggiori informazioni sul proprio Rcv e su come ridurlo, e più del 77% preferisce essere informata da un medico. La popolazione esaminata era prevalentemente in prevenzione primaria e piuttosto eterogenea per età, scolarità e stato civile. Il 51,71% delle donne ha dichiarato di avere almeno un fattore di rischio tradizionale, ma solo il 9,09% ritiene di avere un Rcv aumentato.

La consapevolezza del proprio rischio cardiovascolare è risultata più bassa proprio dove avrebbe dovuto essere maggiore. Solo il 37,76% delle donne con Rcv elevato si considera tale, mentre il 23,03% delle pazienti con Rcv intermedio si considera a basso rischio. La percezione del proprio peso è un'altra dimostrazione della sottostima del rischio: il 46,9% delle partecipanti aveva un indice di massa corporea (Bmi) superiore a 26, ma solo il 20,2% ha dichiarato di essere in sovrappeso.

Secondo Adele Lillo, responsabile ambulatoriale Cardiologia Ospedale “Fallacara” Triggiano (Bari) e principale autrice dello studio, «la nostra indagine ha evidenziato una buona conoscenza dei fattori di rischio cardiovascolare ma allo stesso tempo una sottovalutazione del proprio rischio cardiovascolare. Il divario culturale nella riduzione del Rcv femminile purtroppo persiste, e anche gli stili di vita sani sono ben noti ma poco praticati. Riteniamo che l'educazione alla valutazione del proprio Rcv e al perseguimento di abitudini di vita sane debba iniziare già nelle scuole e debba continuare a essere perseguita da tutti gli operatori sanitari. È giunto il momento di porre fine al pregiudizio secondo cui le donne sono meno esposte al rischio cardiovascolare rispetto agli uomini».

J Clin Med. 2024;13:3253. doi: 10.3390/jcm13113253.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38892964/

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