Un nuovo modello sperimentale per studiare lo sviluppo del Parkinson giovanile con la speranza di rallentarne il decorso. Lo descrive su 'Brain' uno studio condotto da ricercatrici dell'Irccs ospedale San Raffaele e dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, in collaborazione con la New York University negli Usa e altri centri italiani (università di Padova, Trento e Ferrara, Irccs Istituto Auxologico italiano). Il lavoro, coordinato da Jenny Sassone, docente di Farmacologia UniSR e ricercatrice dell'Unità di Neuropsicofarmacologia del San Raffaele, è finanziato dal ministero dell'Università e della Ricerca, da Fondazione Telethon e dall'Unione europea nell'ambito del Pnrr.
Anche se il Parkinson è più comune tra gli anziani, con un'incidenza che aumenta significativamente dopo i 60 anni, circa il 10-15% delle persone presenta i sintomi prima dei 50 anni. È il cosiddetto Parkinson giovanile, identico nei processi degenerativi e nei sintomi a tutti gli altri tipi di Parkinson, diverso solo per la precocità di comparsa. I primi segni della malattia si manifestano in modo subdolo e comprendono tremori a riposo, rigidità muscolare e lentezza nei movimenti. Tuttavia, possono precedere questi segnali dei sintomi non motori come disturbi del sonno, depressione e perdita dell'olfatto, che possono comparire anche diversi anni prima dei segni più evidenti, compromettendo la qualità di vita dei pazienti. Spesso la patologia viene curata con farmaci sintomatici che hanno un'ottima efficacia nel controllare la sintomatologia per qualche anno, ma non sono in grado di prevenire l'insorgenza della malattia o rallentarne il decorso.
Lo studio appena pubblicato racconta lo sviluppo di un nuovo modello preclinico che ricapitola le caratteristiche del Parkinson giovanile dovuto a mutazioni nel gene Parkin. Ricerche precedenti avevano già dimostrato la possibilità di creare in laboratorio modelli preclinici di malattia basati sull'eliminazione del gene Parkin. Ma in questi modelli la patologia non dava alcun tipo di sintomo; quindi, risultava difficile studiarne i meccanismi o testare dei farmaci per contrastarla. "Per la prima volta - spiega Sassone, prima autrice della ricerca - il nostro modello murino, rispetto a tutti gli altri modelli knock out generati fino ad oggi, mantiene attivo il gene Parkin introducendo una piccola mutazione che riproduce fedelmente le alterazioni neuropatologiche osservate nell'uomo, offrendo così ai ricercatori di tutto il mondo un modello replicabile della malattia umana".
I prossimi passi "saranno studiare i meccanismi molecolari di morte dei neuroni coinvolti nella malattia, sui quali abbiamo già dei dati preliminari, e testare farmaci neuroprotettivi", illustra Sassone. "Alcuni hanno già dimostrato una buona efficacia in modelli meno performanti di quello appena messo a punto - sottolinea - pertanto siamo fiduciose che con questo possano funzionare ancora meglio". Inoltre, "essendo un modello in vivo - aggiunge Valtorta - ci permetterà anche di studiare l'effetto di importanti terapie complementari, come ad esempio l'esercizio fisico. Dati recenti indicano che l'esercizio fisico sia in grado di attenuare la sintomatologia della malattia di Parkinson: vorremmo capire se questo effetto è legato solo a un generale miglioramento della condizione fisica, oppure se l'esercizio fisico possa rallentare i fenomeni di degenerazione dei neuroni. In questo ultimo caso si tratterebbe di una scoperta sensazionale, perché avremmo identificato il primo trattamento in grado di avere un effetto neuroprotettivo, oltre ad essere una terapia facilmente disponibile per tutti".