Uno studio pubblicato su “Italian Journal of Gynaecology and Obstetrics” (rivista ufficiale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia [SIGO]), condotto da Mohamed Derbel dell’Ospedale Universitario Hédi Chaker dell’Università di Sfax (Tunisia), ha valutato in modo comparativo gli esiti clinici di due diverse strategie gestionali in caso di fase latente prolungata del travaglio spontaneo in donne primipare: l’approccio attivo e quello basato sull’attesa vigile. La casistica comprendeva 340 pazienti con gravidanza singola evolutiva e presentazione cefalica.
Nel gruppo sottoposto a gestione attiva, l’intervento consisteva nell’amniotomia seguita da infusione di ossitocina. Invece, nel gruppo in attesa vigile, tali procedure venivano effettuate solo se clinicamente indicate. L’analisi ha evidenziato differenze significative tra i due approcci in termini di esiti materni e neonatali.
Il tasso di taglio cesareo è risultato inferiore nel gruppo gestito con attesa vigile (27,6%) rispetto a quello trattato con approccio attivo (43,5%), con una significatività statistica marcata (p < 0,001). Anche le complicanze immediate sono state meno frequenti tra le pazienti gestite in modo conservativo (2,9% contro 18,2%, p < 0,001), suggerendo una maggiore sicurezza materna in assenza di interventi precoci.
Per quanto riguarda gli esiti neonatali, un punteggio APGAR compreso tra 8 e 10 è stato registrato nel 93,5% dei nati da madri in attesa vigile, rispetto all’84,7% del gruppo trattato attivamente (p = 0,01). La necessità di rianimazione neonatale si è presentata in 25 neonati del gruppo attivo e in 10 del gruppo in attesa (p = 0,01). L’accesso all’unità di terapia intensiva neonatale è stato richiesto nel 2,9% dei casi gestiti con attesa e nell’8,8% dei nati da madri trattate attivamente (p = 0,03).
I tempi del travaglio sono risultati più lunghi nel gruppo con condotta attesa: la fase latente ha avuto una durata media di 20 ore e 38 minuti, rispetto alle 13 ore e 19 minuti del gruppo attivo (p < 0,001), mentre la durata della fase attiva – nei soli casi di parto vaginale – è stata rispettivamente di 5 ore e 14 minuti contro 3 ore e 58 minuti (p < 0,001). Tuttavia, tali estensioni temporali non si sono associate a esiti clinicamente peggiori.
I risultati suggeriscono che, pur riducendo la durata complessiva del travaglio, l’approccio attivo comporta un aumento del ricorso al taglio cesareo, una maggiore incidenza di complicanze materne e un livello di sicurezza neonatale inferiore rispetto alla strategia in attesa vigile. Quest’ultima, pertanto, si configura come un’alternativa efficace nella gestione della fase latente prolungata del travaglio spontaneo nelle primipare.
Arturo Zenorini
Ital J Gynaecol Obstet 2025 June 30. doi: 10.36129/jog.2024.191. Epub ahead of print.
https://www.gynaecology-obstetrics-journal.com/wp-content/uploads/2024/11/BARDAA.pdf