Nel corso di un incontro online promosso da ESMO (European Society for Medical Oncology), in occasione dell’ESMO Gynaecological Cancers Congress 2025 tenutosi a Vienna, alcuni tra i massimi esperti internazionali — Ana Oaknin (Vall d’Hebron Institute of Oncology, Barcellona), Isabelle Ray-Coquard (Centre Léon Bérard, Lione) e Bradley Monk (Florida Cancer Specialists and Research Institute, West Palm Beach) — hanno fatto il punto sulle più recenti innovazioni terapeutiche nei tumori ginecologici, con un’attenzione particolare al ruolo sempre più rilevante dell’immunoterapia.
Un primo messaggio emerso è la significativa asimmetria nei progressi terapeutici tra carcinoma cervicale ed endometriale, da un lato, e carcinoma ovarico, dall’altro. «Immunoterapia e target therapy hanno già cambiato il trattamento delle forme endometriali e cervicali», ha spiegato Oaknin, sottolineando come nel carcinoma endometriale l’associazione di inibitori del checkpoint immunitario e chemioterapia sia diventata standard in prima linea per i tumori dMMR o MSI-H, mentre nel carcinoma cervicale l’immunoterapia è stata integrata già nelle fasi localmente avanzate e metastatiche, grazie ai dati dello studio BEATcc (ENGOT-Cx10).
Nel carcinoma cervicale, lo studio BEATcc ha mostrato l’efficacia dell’aggiunta di atezolizumab (anticorpo monoclonale anti–PD-L1) alla chemioterapia e al bevacizumab, migliorando significativamente sopravvivenza libera da progressione (PFS) e sopravvivenza globale (OS), indipendentemente dallo stato di espressione di PD-L1.
Il carcinoma ovarico, invece, continua a rappresentare una sfida terapeutica. «Abbiamo affrontato molte delusioni con studi di fase III che, pur raggiungendo significatività statistica, non si sono tradotti in benefici clinici rilevanti», ha precisato Monk.
Altro tema centrale è stato lo sviluppo degli anticorpi farmaco-coniugati (ADC), in particolare nel carcinoma ovarico sieroso ad alto grado. Isabelle Ray-Coquard ha presentato dati derivati da un’analisi molecolare condotta su oltre cento campioni, in cui la quasi totalità dei tumori esprimeva almeno un bersaglio per ADC, e più della metà mostrava co-espressione di due o più target. Tra i farmaci più avanzati, è stato discusso mirvetuximab soravtansine, ADC già approvato dall’FDA e in sperimentazione in una linea precoce nei tumori ovarici platino-sensibili.
Sono stati inoltre menzionati ADC sperimentali (come RXDX) con la stessa architettura di trastuzumab deruxtecan — ovvero linker clivabile e payload inibitore della topoisomerasi I — ma diretti contro antigeni alternativi, tra cui HER2, in neoplasie ovariche caratterizzate da iperespressione del recettore.
«Serve una comprensione più profonda dei meccanismi di resistenza per poterne sfruttare appieno il potenziale», ha sottolineato Ray-Coquard, riferendosi alla possibilità di impiegare in sequenza diversi ADC con lo stesso payload ma target antigenici diversi.
Sul fronte della profilazione molecolare, i tre relatori hanno ribadito l’importanza cruciale del testing. «Il futuro della cura passa attraverso la profilazione universale: HRD, BRCA, PIK3CA, KRAS, HER2, MSI, TMB e altri marcatori devono guidare le scelte terapeutiche», ha affermato Monk. Uno studio presentato al congresso ESMO ha evidenziato che quasi tutti i carcinomi ovarici sierosi ad alto grado esprimono almeno un target per anticorpi farmaco-coniugati (ADC), e oltre la metà ne esprime due o più simultaneamente, aprendo la strada a strategie terapeutiche personalizzate basate sulla co-espressione di antigeni bersaglio. Sempre Ray-Coquard ha presentato i primi risultati dello studio BOUQUET, una piattaforma biomarcatore-guidata dedicata ai tumori ovarici epiteliali rari. Lo studio prevede l’assegnazione dei pazienti a coorti terapeutiche sulla base di alterazioni molecolari specifiche, come mutazioni di KRAS o instabilità dei microsatelliti, e ha mostrato segnali di attività incoraggianti in alcune sottopopolazioni trattate con cobimetinib (inibitore selettivo di MEK1/2) o con la combinazione atezolizumab più bevacizumab. «Nel carcinoma sieroso di basso grado, diversamente da quanto osservato nel carcinoma polmonare, si è visto che le biopsie liquide non rilevano sempre le mutazioni KRAS riscontrabili nel tessuto tumorale, suggerendo la necessità di migliorare la sensibilità dei test su sangue o di ricorrere ancora all’analisi tessutale per decisioni terapeutiche», ha specificato Ray-Coquard.
Il carcinoma sieroso low-grade si inserisce, insieme ai tumori stromali dell’ovaio, in quel gruppo di neoplasie ginecologiche rare per cui l’approccio terapeutico resta particolarmente complesso, anche a causa della scarsità di dati clinici e della limitata numerosità dei pazienti. «Con soli 100 casi l’anno, non possiamo permetterci dieci anni per dimostrare l’efficacia di un farmaco», ha osservato Ray-Coquard, invocando una maggiore flessibilità normativa e metodologica nei trial clinici dedicati alle forme rare. Secondo Oaknin, «ora possiamo definire le neoplasie endometriali sulla base di profili molecolari, ed è il momento di fare lo stesso con quelle ovariche, anche se ci vorrà tempo»: un invito a estendere l’approccio biomolecolare anche ai sottotipi meno frequenti, per superare la tradizionale classificazione istologica.
Un messaggio condiviso dai relatori guarda con fiducia al futuro della cura. Per Oaknin, «la speranza è concreta: nuove terapie stanno arrivando e lavoriamo per migliorare gli esiti a lungo termine». Monk ha aggiunto: «Il vero punto di svolta sarà offrire a ogni paziente un profilo molecolare completo», sottolineando l’importanza di una medicina di precisione accessibile e sistematica. Ray-Coquard ha infine rilanciato l’obiettivo: «Oggi curiamo il 90% dei tumori della mammella. È tempo che lo stesso traguardo diventi realtà anche per quelli ginecologici».
Arturo Zenorini