Il sangue del cordone ombelicale potrebbe offrire una chiave di lettura precoce sul futuro stato di salute dei neonati, fornendo indizi sul rischio di sviluppare patologie metaboliche come diabete, ictus e malattie epatiche. È quanto emerge da uno studio che sarà presentato durante la prossima edizione della Digestive Disease Week, in programma dal 3 al 6 maggio a San Diego, in California.
I ricercatori hanno analizzato il sangue cordonale di 38 bambini arruolati nel Newborn Epigenetics Study, uno studio di coorte a lungo termine condotto in North Carolina (Usa). L’obiettivo era individuare alterazioni epigenetiche – in particolare gruppi metilici sul DNA – capaci di attivare o disattivare geni chiave coinvolti nella regolazione metabolica. Secondo Jowell, l’individuazione precoce di questi segnali alla nascita potrebbe offrire un'opportunità unica per intervenire preventivamente, in un contesto in cui i problemi metabolici si manifestano in età sempre più precoce.Confrontando le modificazioni genetiche riscontrate nel sangue del cordone con i dati clinici raccolti tra i 7 e i 12 anni di età dei partecipanti, tra cui l’indice di massa corporea, la presenza di grasso epatico, i livelli dell’enzima epatico ALT, i trigliceridi, la pressione arteriosa e il rapporto vita-fianchi, sono emerse alterazioni del gene Tns3 correlate al grasso epatico, ai livelli di ALT e alla distribuzione addominale del grasso. Altri geni, come Gnas e Csmd1, sono risultati associati a parametri quali pressione arteriosa e indicatori di infiammazione epatica.
Secondo Cynthia Moylan, coautrice dello studio e docente nella divisione di gastroenterologia del Duke University Health System, questi segnali epigenetici sembrano insediarsi già durante la fase embrionale e potrebbero essere influenzati da fattori ambientali come alimentazione materna e salute durante la gravidanza. Moylan sottolinea che, qualora i dati venissero confermati su coorti più ampie, si aprirebbe la possibilità di sviluppare nuovi strumenti di screening precoce e strategie preventive mirate a tutelare la salute metabolica infantile.
Nonostante il numero limitato di casi analizzati, i risultati sono considerati promettenti. Un nuovo studio di follow-up, attualmente finanziato dal National Institutes of Health, mira a validare ulteriormente le ipotesi emerse. I ricercatori chiariscono che non si può parlare di un rapporto di causa-effetto tra le alterazioni genetiche individuate e l’insorgenza di malattia, ma piuttosto dell’identificazione di un potenziale percorso biologico da approfondire.
“Essere portatori di questi marcatori non significa avere un destino segnato – ha dichiarato Ashley Jowell, del Duke University Health System, coordinatrice dello studio – ma conoscerli può dare a clinici e famiglie strumenti in più per adottare strategie protettive fin dalle prime fasi di vita”.