Uno studio guidato da Jason Smith, della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, ha analizzato i dati di un campione di quasi 3.000 adulti anziani negli Stati Uniti, suggerendo che fino al 32% dei casi di demenza osservati in un periodo di otto anni potrebbe essere attribuibile a qualche grado di perdita uditiva misurata con audiometria. Questo valore è superiore rispetto alle stime precedenti, come quella della Lancet Commission on Dementia Prevention del 2020, che indicava una percentuale globale di rischio attribuibile alla perdita uditiva pari all’8,2%.
I risultati hanno mostrato che la frazione di rischio attribuibile (PAF) alla perdita uditiva non variava in modo significativo in base alla gravità del deficit uditivo: era del 16,2% per la perdita lieve e del 16,6% per quella moderata o severa. Tuttavia, questa percentuale aumentava tra alcuni sottogruppi della popolazione, in particolare tra le persone di età superiore ai 75 anni, le donne e i partecipanti di etnia bianca. Al contrario, non è stata riscontrata una correlazione significativa tra demenza e perdita uditiva auto-riferita, suggerendo che i metodi soggettivi di valutazione potrebbero sottostimare il fenomeno rispetto alle misurazioni audiometriche più sensibili.
Secondo Smith e colleghi, se si riuscisse a trattare completamente la perdita uditiva, sarebbe possibile ridurre o ritardare fino al 32% dei casi di demenza nella popolazione, ipotizzando che esista una relazione causale diretta tra le due condizioni. Tuttavia, la natura osservazionale dello studio non consente di stabilire con certezza un rapporto di causalità. Alcuni esperti, come Thomas Littlejohns dell'Università di Oxford, hanno sottolineato che la perdita uditiva potrebbe essere solo un segnale precoce della demenza e non necessariamente una causa diretta. È possibile, infatti, che la perdita uditiva si manifesti già nelle prime fasi della malattia, analogamente ai disturbi della memoria, prima che venga formulata una diagnosi clinica di demenza.
A supporto del legame tra udito e declino cognitivo, il trial ACHIEVE ha recentemente testato l'effetto di un intervento per migliorare l’udito su un periodo di tre anni. Lo studio ha incluso un sottogruppo di partecipanti provenienti dallo studio ARIC e individui reclutati dalla comunità. Nel gruppo ARIC, il trattamento della perdita uditiva ha ridotto il declino cognitivo del 48% rispetto ai controlli, mentre nei partecipanti provenienti dalla comunità non è stato osservato alcun effetto significativo.
L'analisi di Smith e colleghi ha esaminato i dati di 2.946 partecipanti dello studio ARIC, provenienti da quattro stati americani, tutti inizialmente senza diagnosi di demenza. Il campione era composto in prevalenza da donne (59,4%), con un’età media di circa 75 anni. Complessivamente, il 66,1% dei partecipanti presentava una perdita uditiva audiometrica, mentre il 37,2% aveva riportato problemi di udito su base soggettiva.
I modelli statistici utilizzati per stimare il rischio di demenza sono stati corretti per diversi fattori confondenti, tra cui età, genere, etnia, livello di istruzione, stato genetico per l’APOE4, ipertensione, diabete, indice di massa corporea, consumo di tabacco, storia di ictus e uso di apparecchi acustici. Tuttavia, gli autori riconoscono alcune limitazioni della ricerca: il campione era costituito esclusivamente da persone che si identificavano come bianche o nere e quindi potrebbe non essere rappresentativo dell’intera popolazione statunitense. Inoltre, non è stato possibile esaminare gli effetti cumulativi della perdita uditiva sul rischio di demenza nel corso del tempo.
JAMA Otolaryngol Head Neck Surg. 2025 Apr 17:e250192. doi: 10.1001/jamaoto.2025.0192. Epub ahead of print.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40244612/