I carcinomi differenziati della tiroide (DTC) hanno generalmente prognosi favorevole.
«Tuttavia, il 5-10% dei pazienti sviluppa metastasi e circa due terzi di questi sono o diventano refrattari al radioiodio (RR-DTC)», afferma Andrea Corsello, Unità di Chirurgia Endocrina, Ospedale Isola Tiberina – Gemelli Isola, Roma; Dipartimento di Medicina e Chirurgia Traslazionale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. «In questo sotto-gruppo la prognosi è decisamente peggiore, con sopravvivenza a 10 anni di circa il 10%».
«Il trattamento di prima linea consiste nell’utilizzo di inibitori delle chinasi (KI), in particolare lenvatinib (Fugazzola L, et al. Eur Thyroid J 2019)», riferisce lo specialista. «Le evidenze su possibili fattori predittivi di sopravvivenza con lenvatinib sono limitate e derivano principalmente dallo studio SELECT (Schlumberger M, et al. N Engl J Med 2015). Considerato che i pazienti arruolati negli studi sono spesso selezionati con criteri stringenti, soprattutto sullo stato di performance, sono necessari studi di real life per valutare l’applicabilità di questi risultati», prosegue l’esperto.
«È stato pubblicato di recente uno studio retrospettivo di coorte (Marotta V, et al. J Clin Endocrinol Metab 2024) condotto in tre centri italiani (Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona/Università di Salerno; Istituto Nazionale Tumori G. Pascale di Napoli, Ospedale S. Andrea/Sapienza Università di Roma)», riporta Corsello. «I criteri di inclusione erano: pazienti ≥ 18 anni con RR-DTC trattati con lenvatinib, indipendentemente dallo stato Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG), con almeno una lesione misurabile, in progressione secondo criteri RECIST nei 6 mesi precedenti l’inizio della terapia con KI. Gli outcome erano: sopravvivenza libera da malattia (PFS) e sopravvivenza globale (OS). Sono stati valutati i seguenti parametri: a) esami di laboratorio (effettuati all’inizio dello studio e ogni 4 settimane): TSH, FT3, FT4, tireoglobulina (Tg), anticorpi anti-Tg (Ab-Tg). La risposta biochimica è stata valutata come massima percentuale di variazione di Tg rispetto al basale (esclusi i pazienti Ab-Tg+); b) esami strumentali: TC e 18F-FDG PET/TC, eseguite all’inizio dello studio, entro 4 settimane dall’inizio del trattamento e ogni 12 settimane (o prima secondo giudizio clinico). La risposta radiologica è stata valutata secondo criteri RECIST. Come parametro di risposta alla PET/TC è stato considerato il SUVmax (e non il SUVpeak)».
«Sono stati arruolati 55 pazienti, di cui 38 donne (69.1%) e 17 uomini (30.9%), con età mediana di 66 anni (range 42-83), tutti in terapia tiroxinica TSH-soppressiva», continua Corsello. «La dose iniziale di lenvatinib variava tra 14 e 24 mg/die. Lo stato ECOG (dove punteggio maggiore corrisponde a stato peggiore) era il seguente: 39 con punteggio 0-1 e 16 con punteggio 2-3. I pazienti sono stati classificati come: a) RAI-avidi se tutte le metastasi captavano il radioiodio; in questo caso la definizione di RR-DTC si basava su progressione nonostante RAI nei 6-12 mesi precedenti oppure dose cumulativa di RAI > 600 mCi; b) RAI-non avidi se tutte le lesioni misurabili, o almeno la maggiore e più significativa, non captavano RAI».
Risultati. Riguardo a efficacia e tollerabilità: «PFS: mediana 26 mesi (IC 95% 19.1-32.9)», riferisce Corsello. «OS: mediana 70 mesi (IC 95% 36-112). Risposta clinica: oggettiva in 34 pazienti (61.8%), di cui completa (CR) in 6 e parziale (PR) in 28; malattia stabilizzata (SD) in 15 (27.3%); progressione di malattia (PD) in 6 (10.9%). Risposta biochimica (riduzione Tg > 25%): in 43/45 pazienti (95.6%; 10 pazienti esclusi per positività Ab-Tg). Risposta PET/TC: 47/51 pazienti valutabili hanno avuto riduzione del SUVmax, tutti con beneficio clinico (CR/PR/SD), mentre i restanti 4 hanno avuto tutti PD» riporta l’esperto. Effetti avversi: «Frequenti: ipertensione (52.7%), perdita di peso (42.7%), proteinuria (40%), diarrea (38.2%)» riferisce lo specialista. «Grado ≥ 3: in 28 pazienti (50.9%), con ipertensione e proteinuria come effetti più frequenti (25.5% e 18.2%, rispettivamente)», continua Corsello. «Riduzioni/interruzioni/sospensioni del trattamento dovute a tossicità: 81.8%, 52.7% e 3.6%, rispettivamente. La dose mediana sostenuta di Lenvatinib è stata 14 mg/die (range 10-24). Analisi multi-variata pre-trattamento per l’individuazione dei predittori: a) Predittori significativi di PFS: la sopravvivenza peggiora in relazione allo stato ECOG (2-3 vs 0-1, HR 18.82, IC 95% 3.65-97.08, p < 0.001) e alla mancata avidità al radioiodio (HR 3.74, IC 95% 1.01-13.76, p = 0.047). b) Predittori significativi di OS: la sopravvivenza peggiora in relazione allo stato ECOG (2-3 vs 0-1, HR 6.2, IC 95% 2.11-18.20, p = 0.001)», prosegue Corsello. «Concentrandosi sullo status ECOG (unico predittore basale indipendente sia di PFS che OS), sono state osservate PR/CR nel 74.4% e 31.3% dei pazienti con ECOG 0-1 e 2-3, rispettivamente», riferisce lo specialista. «Non sono state invece osservate differenze in termini di frequenza di effetti collaterali o dose sostenuta di trattamento con lenvatinib. Nei 10 pazienti (18.5%) che avevano sia ECOG 0-1 che tumori RAI-avidi è stata osservata una risposta obiettiva (PR/CR) nel 100% dei casi (vs 53% nei restanti), con PFS mediana di 45 mesi (vs 22 mesi) e OS mediana non ancora raggiunta dopo 81 mesi (vs 53 mesi)», continua Corsello. «Analisi multi-variata post-trattamento per l’individuazione dei predittori: a) Predittori significativi di PFS: la sopravvivenza peggiora in relazione alla risposta radiologica (SD/PD vs PR/CR, HR 2.79, IC 95% 1.14-6.85, p = 0.025). Quando il modello è stato corretto sulla base dei risultati pre trattamento per ECOG e avidità RAI, la miglior risposta radiologica si confermava come predittore indipendente (SD/PD vs PR/CR, HR 4.6, IC 95% 1.89-11.18, p = 0.001). b) Predittori significativi di OS: l’analisi multi-variata non è stata eseguita perché l’unica variabile significativa all’uni-variata era la miglior risposta radiologica (mediana non raggiunta vs 28 mesi per PR/CR vs SP/PD, p < 0.001)», riporta Corsello.
«ECOG (per PFS e OS) e avidità al RAI (per PFS) sono predittori indipendenti pre-trattamento di sopravvivenza in pazienti con RR-DTC trattati con lenvatinib», riferisce lo specialista. «I pazienti con ECOG 0-1 e contestuale malattia avida di RAI mostrano alta risposta al trattamento. La risposta oggettiva è l’unico predittore indipendente di sopravvivenza post trattamento (PFS e OS)», continua l’esperto.
«Questo studio retrospettivo ha indagato la presenza di fattori predittivi di sopravvivenza in pazienti con RR-DTC trattati con lenvatinib, fornendo dati di real life», commenta lo specialista. «Il punto di forza principale è l’inclusione di un numero consistente di pazienti (n = 16, 29.1%) con performance status non ottimale (ECOG 2-3), generalmente esclusi dagli studi clinici e per cui sono quindi disponibili pochi dati», continua Corsello. «Lo studio ha valutato sia variabili pre-trattamento, utili per selezionare i candidati ideali e ottimizzare la tempistica di inizio del trattamento, che variabili in corso di trattamento, per valutare il rapporto costo/beneficio della prosecuzione della terapia», prosegue l’esperto. «I dati di sopravvivenza osservati sono in parte migliori di quelli di altri studi real life, ma il confronto è complesso per le numerose variabili da tenere in considerazione (caratteristiche basali dei pazienti, tempistica di inizio del trattamento, dose iniziale e dose mediana, precedenti e successive linee di trattamento, durata del follow-up, ecc)», osserva Corsello. «In particolare, l’81.8% dei pazienti di questo studio ha ricevuto un successivo trattamento con KI dopo progressione di malattia (rechallenge con lenvatinib o altro KI) e questo può aver inciso sui dati di OS», commenta lo specialista. «In termini di eventi avversi, i dati (grado ≥ 3 in 50.9% dei pazienti) sono in linea con altri studi real life, ma migliori rispetto al SELECT (85.4%)», prosegue l’esperto. «Gli autori ipotizzano che la maggior flessibilità nella gestione della dose di lenvatinib al di fuori degli studi clinici abbia contribuito a questo risultato», riferisce Corsello. «Il risultato più rilevante è l’identificazione dello stato ECOG come unico fattore pre-trattamento predittivo sia di PFS che OS», continua lo specialista. «I pazienti con ECOG 0-1 hanno mostrato maggiori risposte al trattamento rispetto a quelli con ECOG 2-3, senza differenze in termini di tollerabilità ed eventi avversi. Questi risultati suggeriscono una maggiore efficacia di lenvatinib nei pazienti con buon performance status, in linea con quanto evidenziato da analisi retrospettive dello studio SELECT (Taylor MH, et al. Thyroid 2021), che però si limitavano al confronto ECOG 0 vs 1», afferma Corsello. «La combinazione di ECOG 0-1 e avidità al RAI pre-trattamento ha identificato un sotto-gruppo di pazienti (circa 20%) con ottima risposta al trattamento», prosegue lo specialista. «Gli autori concludono, quindi, che i risultati sono a favore di un inizio precoce del trattamento, essendo queste variabili generalmente presenti in pazienti con malattia meno avanzata», osserva l’esperto.
«Tuttavia, non si possono trarre conclusioni definitive», commenta lo specialista.
«Infatti, uno studio pubblicato solo pochi giorni prima dell’invio di questo commento ha evidenziato come la sorveglianza attiva rappresenti un’opzione valida per alcuni pazienti con RR-DTC in progressione (Gianoukakis AG, et al. Eur Thyroid J 2024), e nello studio qui esaminato mancava un braccio di controllo (pazienti con buon performance status e malattia avida al RAI, sottoposti a sorveglianza attiva)», riferisce Corsello. «Infine, la risposta oggettiva (PR/CR) è stata identificata come unico predittore di PFS e OS, suggerendo che anche i pazienti con SD potrebbero beneficiare di un cambio di terapia, qualora ci fossero alternative valide» riporta lo specialista.
«I principali limiti dello studio sono il disegno retrospettivo, la mancanza di un braccio di controllo (come dettagliato sopra), l’assenza di una profilazione genetica e l’impossibilità di valutare l’impatto sulla sopravvivenza della dose iniziale di lenvatinib e delle successive linee di trattamento», conclude Corsello.
J Clin Endocrinol Metab 2024, 109: 2541-52. doi: 10.1210/clinem/dgae181.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38501238/