L’osteo-artrosi è una patologia delle cartilagini articolari cronica, degenerativa, progressiva, invalidante, che si accompagna a dolore cronico (con esacerbazioni in occasione di episodi ricorrenti di infiammazione acuta – osteo-artrite), deformità articolare e limitazione funzionale. «Le articolazioni maggiormente colpite sono anca e ginocchio, con conseguenze funzionali significative sotto carico (es. deambulazione) », affermano Giuseppe Lisco e i membri della Commissione Farmaci AME (Associazione Medici Endocrinologi), coordinata da Vincenzo De Geronimo. «Nella forma primitiva più comune l’osteo-artrosi colpisce fino al 3.5% della popolazione mondiale e rappresenta una delle cause più frequenti di disabilità».
«Numerosi fattori predisponenti condizionano il rischio di sviluppare osteo-artrosi, tra cui le patologie metaboliche come obesità, sindrome metabolica e diabete mellito», continuano gli esperti. «I dati epidemiologici delle ultime 2-3 decadi evidenziano non solo un significativo aumento della prevalenza di osteo-artrosi in pazienti con patologie metaboliche croniche, ma anche un’anticipazione della presentazione e una maggiore gravità delle manifestazioni cliniche», proseguono Lisco e colleghi.
«Eccesso ponderale, insulino-resistenza, iperglicemia e infiammazione cronica potrebbero giocare un ruolo determinante nella patogenesi dell’osteo-artrosi in pazienti con patologie metaboliche», osservano gli esperti. «Farmaci appartenenti alla classe degli agonisti del recettore del glucagon-like peptide 1 hanno dimostrato efficacia sul controllo glicemico, sull’induzione e mantenimento di una significativa riduzione del peso corporeo e hanno azione anti-infiammatoria sistemica. Pertanto, potrebbero avere un ruolo terapeutico in questo scenario clinico», aggiungono Lisco e colleghi.
Di recente, è stato pubblicato uno studio multi-centrico in doppio cieco vs placebo (Bliddal H, et al. N Engl J Med 2024) con l’obiettivo di valutare l’effetto del trattamento con semaglutide sulla gravità del dolore articolare e della compromissione funzionale in pazienti con gonartrosi. «Lo studio è stato condotto in 61 centri in 11 paesi», riferiscono Lisco e colleghi. «Questi i criteri di inclusione: pazienti adulti con obesità (BMI ≥ 30 kg/m²) e diagnosi clinica di gonartrosi secondo i criteri dell’American College of Rheumatology (dolore al ginocchio associato ad almeno tre dei seguenti aspetti: età > 50 anni, rigidità mattutina < 30 minuti, crepitio, dolorabilità ossea, ingrandimento osseo, non calore alla palpazione), con alterazioni radiografiche moderate (grado 2 o 3 Kellgren–Lawrence); punteggio WOMAC del dolore di almeno 40».
«Gli end-point primari includevano: variazione, rispetto al tempo 0, del peso corporeo e del punteggio WOMAC», proseguono gli specialisti. «Il punteggio WOMAC (West Ontario and McMaster Universities Osteoarthritis) è ricavato da un questionario auto-compilato, con 17 domande in 3 sezioni, che esplorano la presenza di dolore, rigidità articolare e difficoltà nell’esecuzione di attività motorie. Per ogni domanda sono previste 5 possibili risposte (assente, lieve, moderato, severo, estremo). Il punteggio totalizzato è espresso su una scala da 0 a 100, con punteggi maggiori che indicano gravità maggiore», spiegano gli esperti.
«L’end-point secondario era la variazione, rispetto al tempo 0, dell’indice funzionale stimato con lo Short Form Health Survey a 36 items», riferiscono gli specialisti. «L’SF-36 è uno strumento multi-dimensionale di auto-valutazione, composto da 36 domande suddivise in 8 scale (funzionamento fisico, limitazioni legate allo stato di salute fisica, limitazioni legate allo stato di salute psicologica, correlato alla patologia di base, livelli di energia e stanchezza fisica, benessere emotivo, attività sociali svolte, presenza di dolore, percezione dello stato di salute complessivo, peggioramento rispetto alla valutazione precedente), con l’obiettivo di valutare lo stato funzionale residuo di pazienti con varie patologie e gradi di disabilità (artrite e artrosi, malattie degenerative neurologiche, lesioni spinali, neoplasie in stadio avanzato). Punteggi maggiori indicano condizioni migliori», spiegano Lisco e colleghi.
«L’intervento era: semaglutide o placebo (rapporto 2:1) per 68 settimane in aggiunta a dieta e attività fisica», riportano gli specialisti. «Semaglutide è stata somministrata settimanalmente, dalla dose minima di 0.25 mg per raggiungere la dose piena di 2.4 mg entro 16 settimane. In caso di intolleranza sono state impiegate dosi inferiori (non < 1.7 mg)», proseguono gli esperti. «Sono stati arruolati 407 pazienti (donne 81.6%, caucasici 60.9%), con età media di 56 anni, BMI medio di 40.3 kg/m² (≥ 40 nel 41%), punteggio WOMAC medio di 70.9», proseguono Lisco e colleghi.
Questi i risultati con semaglutide vs placebo. «Riduzione di peso: rispetto al basale: -13.7% vs -3.2% (p < 0.001); del 5%: nell’87% vs 29.2%; del 10%: nel 70.4% vs 9.2%; del 15%: nel 48.7% vs 2.5%; del 20%: nel 23.3% vs 0%», riferiscono Lisco e colleghi. «Variazione del punteggio WOMAC (punteggi maggiori indicano gravità maggiore): -41.7 vs -27.5 punti. Questo indica una notevole riduzione sia del dolore che delle limitazioni funzionali correlate alla presenza di gonartrosi», osservano gli esperti.
«Un dato accessorio, che ugualmente riflette il miglioramento dei sintomi clinici associati a gonartrosi, riguarda la riduzione della frequenza di utilizzo di FANS, incluso paracetamolo, già evidente a partire dalla 16a settimana», proseguono gli specialisti. «Variazioni dell’SF-36 (punteggi maggiori indicano condizioni migliori): +12 vs +6.5 punti (p < 0.001). Eventi avversi: 6.7% vs 3%, soprattutto gastro-intestinali», riportano Lisco e colleghi.
«In conclusione, i risultati mostrano un effetto positivo del trattamento cronico con semaglutide in pazienti con obesità complicata da gonartrosi di grado moderato-severo», osservano gli specialisti. «Accanto alla riduzione della sintomatologia dolorosa e della frequenza di episodi di riacutizzazione del dolore articolare, è stato registrato anche un notevole miglioramento della capacità funzionale e della qualità di vita», continuano gli esperti. «Probabilmente la notevole riduzione del peso corporeo ottenuta con semaglutide, cui segue una notevole riduzione del sovraccarico meccanico a livello osteo-articolare, ha contribuito in modo sostanziale al raggiungimento di tali risultati», riferiscono gli specialisti. «Tuttavia, dato che molti pazienti hanno presentato un miglioramento della sintomatologia già dopo poche settimane o mesi di trattamento (quando cioè la riduzione del peso corporeo iniziava a comparire in modo significativo), non è chiaro se il trattamento con semaglutide possa innescare altre azioni farmacologiche dirette o indirette, anche a livello articolare, tali da ottenere un impatto positivo sull’evoluzione clinica e sulla prognosi della patologia», osservano Lisco e colleghi. «Per chiarire questo aspetto potrebbero essere necessari studi mirati», concludono gli esperti.
N Engl J Med 2024, 391: 1573-83. doi: 10.1056/NEJMoa2403664.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39476339/