Uno studio pubblicato su Brain Medicine ha rilevato "livelli allarmanti di microplastiche" nel tessuto cerebrale umano. Sembra che questo organo contenga concentrazioni più elevate rispetto ad altri organi e un ulteriore elemento evidenziato dagli autori è che i livelli presenti nel cervello delle persone con demenza risultano essere "3-5 volte superiori" rispetto a chi non ha questa diagnosi.
Secondo la ricerca, il tessuto cerebrale contiene concentrazioni di microplastiche 7-30 volte superiori rispetto ad altri organi come fegato e reni. Le microplastiche, in particolare quelle di dimensioni inferiori a 200 nanometri, sono principalmente composte da polietilene e potrebbero attraversare la barriera emato-encefalica, suscitando preoccupazioni riguardo il loro ruolo nelle malattie neurologiche.
Il Dr. Nicholas Fabiano, dell'Università di Ottawa, ha sottolineato l'aumento allarmante dei livelli di microplastiche nel cervello negli ultimi otto anni, un fenomeno che riflette l’escalation della contaminazione ambientale. Di particolare preoccupazione sono le particelle più piccole di 200 nanometri, composte prevalentemente da polietilene, che mostrano una notevole deposizione nelle pareti cerebrovascolari e nelle cellule immunitarie. Questa dimensione consente loro di attraversare potenzialmente la barriera ematoencefalica, sollevando interrogativi sul loro ruolo nelle patologie neurologiche.
In risposta, gli esperti suggeriscono misure pratiche per ridurre l'esposizione, come passare dall’acqua in bottiglia a quella filtrata e evitare l’uso di plastica per il riscaldamento e la conservazione degli alimenti.
Altre fonti significative di microplastiche sono le bustine di tè in plastica, che possono rilasciare milioni di particelle di dimensioni micro e nano per sessione di infusione. Anche il modo in cui riscaldiamo e conserviamo il cibo è importante. "Riscaldare il cibo in contenitori di plastica, in particolare nel microonde, può rilasciare quantità sostanziali di microplastiche e nanoplastiche", spiega Luu. "Evitare contenitori di plastica per alimenti e utilizzare alternative in vetro o acciaio inossidabile è un piccolo ma significativo passo avanti per limitare l'esposizione. Sebbene questi cambiamenti siano sensati, abbiamo ancora bisogno di ricerche per confermare se la riduzione dell'assunzione porti a un ridotto accumulo nei tessuti umani", puntualizza l'esperto.
Il team di ricerca esplora anche potenziali percorsi di eliminazione, riportando anche le evidenze sul fatto che la sudorazione potrebbe aiutare a rimuovere dal corpo alcuni composti derivati dalla plastica. Tuttavia si precisa che è necessaria più ricerca per chiarire questi e tanti altri aspetti, e si chiede di dare priorità urgenti a questa tematica, con focus sulla necessità di stabilire chiari limiti di esposizione e valutare le conseguenze a lungo termine sulla salute derivanti dall'accumulo di microplastiche.
Fonte: Human microplastic removal: what does the evidence tell us?