Una recente ricerca dal titolo “Longitudinal Evaluation of Iron Status during Pregnancy: A Prospective Cohort Study in a High-Resource Setting”, pubblicata su The American Journal of Clinical Nutrition, mette in luce la crescente preoccupazione per la carenza di ferro nelle donne in gravidanza, anche in contesti ad alto reddito, sfidando l'idea che questo sia un problema limitato ai paesi a basso reddito.
Carenza di ferro: una problematica diffusa
Durante la gravidanza, le necessità di ferro di una donna aumentano in maniera drastica, quasi dieci volte, per sostenere lo sviluppo fetale e soddisfare le proprie esigenze fisiologiche. Tuttavia, molte donne — circa il 50% — iniziano la gravidanza con riserve di ferro già esaurite, rendendo difficile soddisfare tali esigenze. Sebbene la carenza di ferro sia comunemente associata a paesi a basso reddito, recenti ricerche hanno evidenziato che anche nei paesi ad alto reddito il problema è significativo, con tassi di carenza tra il 33% e il 42% delle donne in gravidanza.
L'anemia in gravidanza è associata a gravi rischi, tra cui emorragia post-partum, parto pretermine e problemi di sviluppo per il neonato. Anche in assenza di anemia, la carenza di ferro materna può avere effetti negativi a lungo termine sullo sviluppo neurocognitivo del bambino.
Nonostante queste gravi implicazioni, lo screening sistematico per la carenza di ferro durante la gravidanza non è ancora praticato in modo universale, e non esiste un consenso internazionale sui criteri diagnostici per definire la carenza di ferro nelle donne incinte. Mentre alcune organizzazioni, come la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia e la Società Europea di Ematologia, raccomandano lo screening per tutte le donne nel primo trimestre, la Task Force dei Servizi Preventivi degli Stati Uniti non considera sufficienti le prove per raccomandare uno screening di routine.In molti casi, inoltre, lo screening si basa solo sui livelli di emoglobina per rilevare l’anemia, ma questo parametro da solo non è sufficiente a identificare le carenze di ferro che non si sono ancora evolute in anemia conclamata. Ciò significa che molte donne in gravidanza, pur non risultando anemiche, possono comunque soffrire di carenza di ferro, esponendosi e esponendo i loro bambini a rischi significativi senza che la condizione venga diagnosticata.
I nuovi dati
Lo studio, uno dei più grandi del suo genere, ha seguito 641 donne in gravidanza in Irlanda, monitorando i loro livelli di ferro in tre momenti: a 15, 20 e 33 settimane di gestazione.
Lo studio ha rivelato un dato sorprendente: nonostante nessuna delle donne fosse anemica nel primo trimestre, oltre l'80% risultava carente di ferro il terzo trimestre. Questi dati indicano che la carenza di ferro è un problema molto diffuso anche in contesti benestanti.Un altro aspetto interessante dello studio riguarda l’efficacia degli integratori di ferro. Circa tre quarti delle partecipanti avevano assunto integratori contenenti ferro (inclusi multivitaminici) conformi alla dose giornaliera raccomandata in Europa (15-17 mg). Lo studio ha osservato che l'uso di questi integratori era associato a un rischio ridotto di carenza di ferro durante tutta la gravidanza, compreso il terzo trimestre. Ciò suggerisce che l'integrazione precoce può avere un impatto positivo sulle riserve di ferro a lungo termine.
Uno dei contributi più significativi dello studio è stata la proposta di un nuovo parametro per la previsione della carenza di ferro in gravidanza. Gli autori hanno individuato che un livello di ferritina pari o inferiore a 60 µg/L a 15 settimane di gravidanza può predire una carenza di ferro nel terzo trimestre (definita da livelli di ferritina pari o inferiori a 15 µg/L). Questo livello critico di ferritina è particolarmente importante perché segna il punto in cui l’accumulo di ferro nel feto potrebbe essere compromesso, con conseguenze sullo sviluppo neurocognitivo postnatale.
Una chiamata all'azione
Lo studio ha rappresentato uno dei più grandi tentativi di valutare in modo sistematico e longitudinale la carenza di ferro in un contesto ad alto reddito.
L'importanza dei risultati dello studio ha portato anche a una riflessione più ampia. In un editoriale, intitolato "Finally, a Quality Prospective Study to Support a Proactive Paradigm in Anemia of Pregnancy", che accompagna lo studio, Michael Auerbach e Helain Landy hanno criticato l’approccio medico attuale, definendo la mancanza di screening per la carenza di ferro tra le donne in gravidanza come "misogino". I due autori sollecitano istituzioni come l’American College of Obstetricians and Gynecologists a cambiare il loro approccio, raccomandando lo screening di tutte le donne incinte per la carenza di ferro, indipendentemente dalla presenza o assenza di anemia.In definitiva, questa ricerca apre la strada a un cambiamento di paradigma nell'approccio alla diagnosi e al trattamento della carenza di ferro durante la gravidanza, con potenziali benefici su larga scala per la salute pubblica.