L’obesità, oltre ad essere associata a comorbilità, quali diabete mellito tipo 2, ipertensione arteriosa e conseguenze a livello fisico, correla con alterazioni della struttura cerebrale, che sono alla base di disfunzioni cognitive. «Si calcola che gli obesi, se paragonati a soggetti magri di pari età, abbiano un rischio di sviluppare demenza dal 60 al 90% superiore (Shaw ME, et al. Int J Obes (Lond) 2018)», affermano Simonetta Marucci e gli esperti della Commissione Obesità AME (Associazione Medici Endocrinologi) coordinata da Marco Chianelli. «I cambiamenti a livello cerebrale», proseguono, «sembrerebbero correlati alla riduzione del flusso sanguigno e della perfusione del tessuto nervoso» (Knight SP, et al. Neurobiol Aging 2021) con alterazioni sia a livello della sostanza bianca che grigia, più evidenti nell’ippocampo e nella regione pre-frontale» (Smith E, et al. Obes Rev 2011). «Sul piano funzionale queste alterazioni si traducono in una riduzione delle funzioni cognitive, esecutive, dell’attenzione e della memoria di lavoro» (Stanek KM, et al. Neuropsychology 2013)», aggiungono gli specialisti.
In un recente studio prospettico di coorte condotto da Custers E, et al. (JAMA Network Open 2024) «l’obiettivo era quello di analizzare l’esito di pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica, per quanto riguarda cambiamenti nella struttura e funzione cerebrali», riferiscono Marucci e colleghi. «Il quesito a cui gli autori cercano di dare una risposta è se la perdita di peso, indotta da un intervento di chirurgia bariatrica, possa avere effetti a lungo termine sugli aspetti cognitivi, correlati con un cambiamento nella struttura e con il miglioramento della perfusione a livello cerebrale», riportano gli esperti. «Questi i criteri di inclusione: pazienti di 35-55 anni, con obesità grave (BMI > 40 kg/m² o > 35 kg/m² con comorbilità), candidabili a by-pass gastrico secondo Roux-en-Y (RYGBP)». Questi invece quelli di esclusione: «malattie neurologiche, malattie psichiatriche gravi, gravidanza, trattamento con antibiotici, probiotici o prebiotici, impedimenti all’esecuzione di RM». L’esposizione era all’intervento di RYGBP, riferiscono Marucci e colleghi. Questi gli outcome primari: «peso, BMI, circonferenza vita, pressione arteriosa, uso di farmaci, performance cognitiva (memoria episodica e di lavoro e fluidità verbale valutati con test neuro-psicologici (Vreeken D, et al. BMJ Open 2019), volume del cervello, spessore della corteccia cerebrale, flusso sanguigno cerebrale». «Outcome secondari: eventuali modifiche nella produzione di citochine e adipochine (Arnoldussen IAC, et al. Eur Neuropsychopharmacol 2014), sviluppo di sintomi depressivi (monitorati attraverso un questionario validato, il Beck Depression Inventory, inviato on line), presenza di attività fisica (Baecke Questionnaire)». proseguono gli specialisti. «I pazienti arruolati erano 133. 84% donne, età media 46.8 ± 5.7 anni. I dati sono stati raccolti prima dell’intervento e due anni dopo», riferiscono gli esperti.
Ecco i risultati ottenuti, riportati da Marucci e colleghi. «Miglioramento significativo delle funzioni cognitive, valutabile intorno a una media del 20%. Cambiamenti a livello della struttura del lobo temporale, dello spessore della corteccia cerebrale e delle strutture subcorticali, quali amigdala, nucleo caudato, putamen e nucleo accumbens, mentre l’ippocampo non sembrava subire modificazioni volumetriche degne di nota. Migliore perfusione del parenchima cerebrale. Miglioramento complessivo del tono dell’umore. Riduzione del ricorso a terapie farmacologiche. Aumento dell’attività fisica. Stato infiammatorio: già dopo 6 mesi dall’intervento riduzione dei livelli di proteina C-reattiva e citochine pro-infiammatorie (TNF-alfa, Interleukina 1-ß, Interleukina 6), mentre, contestualmente, aumentavano i livelli di adiponectina (che rimaneva stabilmente a livelli più elevati ancora dopo 2 anni) e di brain derived neurotrophic factor (che risulta basso sia nell’obesità che nell’Alzheimer (Katuri RB, et al. J Obes Metab Syndr 2021), il cui ruolo neurotrofico sicuramente contribuisce al miglioramento della performance cognitiva», osservano gli specialisti.
«Nella valutazione dei cambiamenti riscontrati a livello cerebrale, gli autori hanno tenuto conto della variabile rappresentata dall’influenza dell’invecchiamento, concludendo comunque che la chirurgia bariatrica ritarderebbe le alterazioni cerebrali età-correlate nel soggetto con obesità», osservano Marucci e colleghi. «Il lavoro presenta alcune limitazioni legate sia alla mancanza di un gruppo di controllo (non inserito poiché sarebbe stato impossibile comprendere se le eventuali variazioni fossero da riferire all’età o alla persistenza dell’obesità) che allo squilibrio del campione (80% donne, che peraltro rappresentano la maggioranza dei pazienti che si sottopongono a chirurgia bariatrica)», riportano gli esperti. «Tuttavia, contiene anche punti di forza come l’utilizzo di strumenti di valutazione quali neuro-imaging e test psicometrici validati, oltre all’aver voluto indagare l’influenza dello stato infiammatorio sull’outcome mentale del soggetto obeso», proseguono gli specialisti. «È certamente interessante avere spostato l’attenzione dagli effetti benefici correlati alla perdita di peso, riguardanti le comorbilità, i fattori di rischio, il ricorso a terapie farmacologiche, verso altri aspetti più squisitamente mentali, cognitivi e psicologici», continuano Marucci e colleghi. «Questi miglioramenti legati alla performance, al tono dell’umore e all’attività fisica sono sicuramente fondamentali sia per mantenere la motivazione del paziente a continuare a prendersi cura di sé, sia per prevenire il drop-out e la ricaduta, ancora così frequenti anche dopo intervento di chirurgia bariatrica», concludono gli specialisti.
JAMA Netw Open 2024;7:e2355380. doi: 10.1001/jamanetworkopen.2023.55380.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38334996/