Livelli adeguati di testosterone (T) sono essenziali per la salute ossea negli uomini di tutte le età e il deficit di T costituisce un fattore di rischio per osteoporosi». «Tuttavia, gli effetti sull’osso della terapia sostitutiva con T (testosterone replacement therapy, TRT) sono stati descritti soprattutto in uomini giovani con ipogonadismo da causa organica come miglioramento della bone mineral density (BMD), mentre sono contrastanti le evidenze negli uomini di età medio-avanzata con ipogonadismo, specie di origine funzionale, probabilmente anche a causa dell’eterogeneità tra gli studi (selezione dei pazienti, definizione di ipogonadismo e durata della TRT)», afferma Gilda Dalmazio insieme alla Commissione Andrologia AME (Associazione Medici Endocrinologi) coordinata da Agostino Specchio.
«Secondo un’ampia metanalisi di 52 studi randomizzati controllati (RCT), su un totale di più di 5000 partecipanti di età medio-avanzata con deficit di T, pur limitata da una significativa eterogeneità, la TRT non apporterebbe beneficio a breve e lungo termine in termini di BMD e sull’incidenza di fratture e cadute (Zhang Z, et al. BMC Endocr Disord 2020)», riportano gli esperti. «I risultati di una più recente metanalisi su oltre 3000 pazienti, in maggioranza con ipogonadismo età-correlato, hanno documentato invece un miglioramento della BMD a livello della colonna lombare, che era significativamente associato a durata più prolungata della TRT, alla presenza di diabete mellito tipo 2 (DMT2) e inversamente correlato alle concentrazioni di T pre-trattamento (Corona G, et al. J Endocrinol Invest 2022)», osservano Dalmazio e colleghi.
«I dati delle sotto-analisi di due ampi RCT hanno valutato l’effetto della terapia con T sulla BMD: nel Bone Trial del T-trial sono stati valutati 211 uomini ipogonadici di età ≥ 65 anni (Snyder PJ, et al. JAMA Intern Med 2017); nel T4 Bone Trial sono stati valutati 177 pazienti di 50-74 anni, con livelli di T totale ≤ 14 nmol/L (4 ng/mL), affetti da obesità viscerale associata a DMT2 o disglicemia (Wittert G, et al. Lancet Diabetes Endocrinol 2021)», proseguono gli specialisti. «In entrambi gli studi è stato evidenziato un incremento significativo della BMD areale e volumetrica dopo, rispettivamente, uno e due anni di trattamento con T, che sembrerebbe quindi in grado di migliorare in questi pazienti la struttura e la qualità del tessuto osseo nonché la resistenza ossea stimata (Snyder PJ, et al. JAMA Intern Med 2017). Non vi sono tuttavia dati sulla putativa riduzione del rischio di frattura clinica», aggiungono.
«È stato di recente pubblicato il sotto-studio dedicato all’osso dello studio TRAVERSE (Testosterone Replacement Therapy for Assessment of Long-term Vascular Events and Efficacy Response in Hypogonadal Men) (Lincoff AM, et al. N Engl J Med 2023)», segnalano gli specialisti. «Obiettivo dello studio TRAVERSE era analizzare la sicurezza cardio-vascolare (CV) della TRT in uomini di età medio avanzata con ipogonadismo, tutti ad alto rischio CV o con patologia CV pre-esistente. Il sotto-studio osseo ha permesso di indagare l’effetto della TRT sul rischio fratturativo», proseguono Dalmazio e colleghi.
«Questi i criteri di inclusione: maschi di 45-80 anni con ipogonadismo clinico e biochimico (sintomatologia e livelli di T totale al mattino su due campioni compresi tra 3.5 e 10.4 nmol/L, tra 1 e 3 ng/mL), ad alto rischio CV o con patologia CV pre-esistente. Da notare che tra i criteri di inclusione non figurava l'osteoporosi. Criteri di esclusione: ipogonadismo congenito o acquisito di grado severo, controindicazioni assolute o relative alla TRT», riportano gli esperti. «Disegno: RCT in cui i pazienti sono stati randomizzati a ricevere T gel trans-dermico o placebo; la dose è stata titolata secondo un algoritmo per raggiungere concentrazioni sieriche di T (misurate a 24 ore di distanza dall’applicazione) di 12.1-26 nmol/L (3.5-7.5 ng/mL). Il trattamento veniva interrotto in caso di valori di T persistentemente > 26 nmol/L (7.5 ng/mL) o di insorgenza di effetti collaterali. End-point primario: verificarsi di una prima frattura clinica vertebrale o non vertebrale (escluse quelle di sterno, falangi, massiccio facciale e cranio), documentata mediante imaging o chirurgia. Il verificarsi di eventi fratturativi veniva indagato a ogni visita o contatto telefonico; dopo richiesta della documentazione medica e sua valutazione, la frattura poteva essere confermata o meno», riportano gli specialisti. «End-point secondari: tempo alla prima frattura clinica in qualsiasi sede, alla frattura osteoporotica maggiore (femore, vertebre, polso, omero), alla frattura non ad alto impatto, alla frattura in pazienti non in terapia per l’osteoporosi, alla frattura non ad alto impatto in pazienti non trattati per osteoporosi».
«Popolazione arruolata: 5204 partecipanti. La popolazione in terapia con T (GT n = 2601) non differiva significativamente dal gruppo placebo (GP n = 2603) per età (63 anni in media), BMI (medio 35 kg/m2), T basale (mediana 7.9 nmol/L, 2.27 ng/mL), DMT1 e DMT2 (70% circa), fumo (20% circa) e terapia medica per osteoporosi (< 0.5%)», riferiscono gli esperti.
«Questi i risultati. La dose media di T è stata di 65 mg/die. I livelli di T aumentavano fino a 12.8 nmol/L (3.7 ng/mL) dopo 6 mesi di terapia e si mantenevano poi sostanzialmente stabili», proseguono Dalmazio e colleghi. «Follow-up: almeno tre anni in poco più della metà (57.2%) dei partecipanti. Due terzi interrompevano il trattamento prima del termine dello studio, pur proseguendo il follow-up, mentre un terzo interrompeva precocemente lo studio senza ulteriori valutazioni, con percentuali simili tra GT e GP. In media, la durata del trattamento e del follow-up è stata, rispettivamente, di 21.8 e 33.1 mesi nel GT e di 21.6 e 32.9 mesi nel GP», riportano gli esperti.
«Durante lo studio sono state confermate 154 fratture in 91/2601 partecipanti nel GT (3.50%) e 97 in 64/2603 partecipanti nel GP (2.46%). L'incidenza cumulativa al terzo anno era 3.8% (IC 95% 3.0-4.6) nel GT vs 2.8% (IC 95% 2.1-3.5%) nel GP. In entrambi i gruppi la maggior parte delle fratture era secondaria a trauma da caduta e i siti più comuni erano coste, polso e caviglia», osservano Dalmazio e colleghi. «Infine, l'incidenza di fratture era più elevata con T vs placebo, sia nel sotto-gruppo non in terapia per l’osteoporosi, sia includendo tutti i tipi di frattura (comprese cranio, massiccio facciale, falangi e sterno)».
«I risultati dello studio sembrano indicare un possibile aumento del rischio fratturativo del TRT, anche se, in base alle evidenze di letteratura precedenti, sembra improbabile un effetto negativo del T sulla struttura ossea», commentano gli specialisti. «Limiti: non sono stati valutati pazienti con ipogonadismo grave (T totale < 3.5 nmol/L – 1 ng/mL) da causa organica, in cui è ampiamente documentato il beneficio della TRT, anche sulla salute ossea. Inoltre, la popolazione comprendeva uomini di età medio-avanzata, con alta prevalenza di malattie CV, diabete, obesità, fumo e insufficienza renale cronica, non confrontabile con una popolazione di pari età e sesso», osservano gli esperti. «È ipotizzabile che buona parte dei pazienti avesse un ipogonadismo obesità-correlato o non fosse realmente ipogonadica: nonostante l’elevata prevalenza di obesi e diabetici, non è stata dosata la sex hormone-binding globulin (SHBG) per il calcolo del T libero, il cui risultato normale non avrebbe giustificato l’impiego della TRT», osservano Dalmazio e colleghi.
«Lo studio ha poi dei limiti legati alla sua natura di subtrial: non sono noti i dati di partenza densitometrici, l’apporto calcico e di vitamina D, il grado di disabilità motoria e l’entità della forza muscolare, né tantomeno la loro eventuale modifica dopo terapia», commentano gli specialisti. «Inoltre, la durata del trattamento, nella maggioranza dei casi < 3 anni, pur adeguata a valutare eventi avversi CV, potrebbe non essere stata sufficiente a far emergere effetti sulla salute ossea», continuano Dalmazio e colleghi.
«Infine, andando a esaminare i risultati, il tempo alle fratture osteoporotiche maggiori, a quelle femorali e a quelle vertebrali non differiva significativamente nei due gruppi; in più, se si analizza l’incidenza delle fratture suddivise per sede, le uniche significativamente più frequenti nel GT rispetto al GP erano quelle di caviglia e coste, tipiche fratture da trauma», riferiscono gli esperti. «Si potrebbe quindi ipotizzare che tale dato sia l’effetto di modifiche comportamentali, quali l’aumento dell’attività fisica, nei pazienti in TRT, con conseguente aumento del rischio di frattura», proseguono Dalmazio e colleghi.
«Sembrerebbe a favore di questa ipotesi l’osservazione che l’incidenza di fratture aumentava subito dopo l'inizio della TRT. Purtroppo, non sono stati raccolti i dati relativi a eventuali cadute, se non nei pazienti fratturati», riportano gli esperti. «Sembrano pertanto necessari ulteriori RCT, appositamente disegnati e di durata sufficiente, su una popolazione di pazienti realmente ipogonadici, prima di poter trarre conclusioni», concludono gli specialisti.
N Engl J Med 2024, 390: 203-11. doi: 10.1056/NEJMoa2308836.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38231621/