Un semplice test del sangue, coadiuvato dall’utilizzo dell'intelligenza artificiale, potrebbe, in futuro, essere sufficiente per diagnosticare malattie come quella di Parkinson e la Sclerosi Laterale Amiotrofica sette anni prima dell’insorgenza dei sintomi. È il risultato presentato da un team di ricercatori internazionale, a cui hanno fatto parte anche ricercatori dell’Università di Bologna e del’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, pubblicato su Nature Communictions.
Il morbo di Parkinson è il disturbo neurodegenerativo in più rapida crescita e attualmente colpisce quasi 10 milioni di persone in tutto il mondo. È un disturbo progressivo causato dall’accumulo della proteina alfa-sinucleina che causa la morte o la compromissione delle cellule della substantia nigra area del cervello che controlla il movimento che perdono la capacità di produrre la dopamina.
Gli autori dello studio hanno sviluppato un test che, analizzando attraverso l’IA otto molecole presenti nel sangue le cui concentrazioni sono alterate nei malati di Parkinson, riesce a diagnosticare il disturbo con un'accuratezza del 100%.
Questo strumento è stato poi messo alla prova sulla sua capacità di prevedere in anticipo la malattia: la sua capacità di prevedere la malattia è stata testata su 72 persone, monitorare nei 10 anni successivi: il test basato ha indicato un rischio elevato per il 79% degli individui e le sue previsioni si sono finora rivelate esatte.
Un'analisi del sangue ha dato ottimi risultati anche per demenza e Sla, come riporta lo studio pubblicato su Nature Medicine e guidato dal Centro Tedesco per le Malattie Neurodegenerative (Dzne). In questo caso, il test si basa su due sole proteine, che però non vengono misurate direttamente nel sangue perché si presentano solitamente frammentate. I livelli di queste molecole sono invece ottenuti grazie all'analisi di minuscole 'bolle' di grassi immesse nel circolo sanguigno dalle cellule umane. L'efficacia del test è stata dimostrata su 991 adulti tedeschi e spagnoli, nei quali ha permesso anche di ottenere una diagnosi definitiva della patologia, una cosa molto difficile con i metodi attuali poiché richiede l'analisi del tessuto cerebrale.
"Man mano che diventano disponibili nuove terapie per il trattamento del Parkinson, dobbiamo diagnosticare i pazienti prima che sviluppino i sintomi", afferma Kevin Mills dello University College London, che ha coordinato i ricercatori insieme a Brit Mollenhauer del Centro di Goettingen. "Non possiamo far ricrescere le nostre cellule cerebrali e quindi dobbiamo proteggere quelle che abbiamo. Al momento, chiudiamo la porta della stalla dopo che i cavalli sono ormai scappati, invece dobbiamo iniziare i trattamenti molto prima".