«È promettente leggere sui giornali della volontà del Ministro della Salute di ritirare la proposta di decreto che costringerebbe il medico di famiglia a prescrivere secondo codici ICD e ne disporrebbe il controllo “a distanza”. Se questo taglio del 20% passasse si rischierebbero infatti: un aumento del contenzioso medico legale, il peggioramento dei determinanti di salute e, in definitiva, di un aumento dei costi per le complicanze indotte dai ritardi diagnostici e mancati controlli». A parlare è Luca Puccetti segretario Fimmg Pisa e fondatore della società scientifica Promed Galileo. «Chi immagina di limitare la prescrizione di accertamenti non sa cosa sia la medicina di famiglia», dice Puccetti: «I medici di famiglia italiani sono l’ultimo problema per la spesa di questo paese. Malgrado l’elevatissimo numero di anziani, le cronicità e le fragilità, vantiamo tassi di mortalità evitate tra i migliori al mondo in base all’ultimo rapporto OECD “health at a glance”; e questo a fronte di una spesa sanitaria pubblica tra le più contenute. I dati relativi al numero ridotto di letti negli ospedali fanno emergere con chiarezza il ruolo importantissimo della medicina generale nel raggiungere risultati tra i migliori al mondo sui determinanti di salute».
Per Puccetti, «l’ipotesi del governo di valutare le prescrizioni diagnostiche dei medici di famiglia con un sistema basato su codifiche ICD-9 e di vedere chi spende di più (per sanzionarlo?) è molto rischiosa. Il sistema di codifica ICD è progettato per l’ospedale dove i pazienti di norma si presentano per un singolo episodio di cura e per problemi in genere chiaramente differenziati. In medicina generale, invece, si affrontano più episodi di assistenza nel corso del tempo, seguendo non sospetti diagnostici già formati ma sindromi indistinte. Lavoriamo su grossi punti interrogativi di fronte ai quali il sistema ICD9 è inadeguato. Sono stati proposti a livello internazionale altri sistemi di codifica, per problemi “indistinti” e definibili usando con razionalità esami di laboratorio strumentali o consulenze specialistiche. Dove s’è applicato il sistema ICD in medicina generale si è assistito al contrario ad un elevato numero di condizioni classificate come “altro”: un gruppo eterogeneo indistinto che comprende le molte situazioni non inquadrabili ulteriormente. Quindi è stato proposto il sistema di codifica ICPC che presenta alcuni vantaggi rispetto al sistema ICD».
Puccetti sottolinea un secondo aspetto di cui il decreto non tiene conto: la ripartizione dei pazienti patologici varia da un medico all’altro. «Il decreto come descritto sui media appare impostato per giudicare le prescrizioni dei singoli medici rispetto ai loro scostamenti dalla media. Evidentemente parte dall’idea che il carico assistenziale sia ripartito in modo uniforme. Nulla di più errato. Ci sono evidenti differenze tra le casistiche dei diversi mmg in rapporto alla morbidità, al censo, alla disponibilità di servizi sanitari, al livello scolastico e culturale. Uno studio che ha come primo autore il collega di Simg Veneto Alessandro Battaggia, edito su Pubmed, sottolinea come tra Sicilia e Veneto il livello di morbidità degli assistiti sia simile, ma l’incidenza delle fragilità cresca in Sicilia per le variabili citate. In Toscana, la popolazione anziana delle zone montane ha bisogni prescrittivi in media più elevati di quella delle zone ad elevato reddito e con ampia offerta di servizi. Dove l’offerta di salute è minore il medico prescrive di più».
Il ministro della Salute Orazio Schillaci, prima di tranquillizzare sull’ipotesi dei tagli alle prescrizioni, spiegava che comunque i mmg avrebbero ricevuto delle linee guida prescrittive flessibili. «A parte che in medicina generale le linee guida sono spesso decise da specialisti senza coinvolgerci – dice Puccetti – nella nostra pratica solo una piccola parte delle condizioni patologiche ha linee guida specifiche e molte si basano su semplici raccomandazioni di esperti mancando evidenze basate su studi ampi e confermati. Un meccanismo come quello del decreto, basato su presupposti scientifici inadeguati, non ottimizza l’accesso agli esami, ma lo raziona, e rischia di portare a gravi ritardi diagnostici e ad un peggior monitoraggio delle condizioni croniche. In un paese dove al crescere dell’età sta esplodendo l’incidenza di tumori». Non è tutto. «Stiamo parlando di ricette frutto di decisione autonoma del medico di famiglia. Ma nel nostro carico prescrittivo va messo anche il filtro che facciamo rispetto alle richieste di specialisti che, pur dotati di ricettario Ssn, per malfunzionamenti tecnici o mancanza di tempo, non lo usano, anche nel pubblico. Per non parlare delle polizze assicurative private che, sempre più diffuse, spesso non rimborsano esami prescritti dal medico di famiglia sul ricettario personale e richiedono ricette a carico del SSN sollevando ulteriori problemi».