Il decreto sullo sblocco delle liste d’attesa rischia di tradursi in tagli ai livelli di assistenza garantiti ai cittadini e in qualche caso di indurre nuova spesa e nuova attesa. Lo affermano due sindacati dei medici di famiglia, Snami e Smi, partendo dal presupposto che le richieste dei cittadini non nascano da “sfizi” che il medico è incapace di contenere ma da una carenza di dati: chi governa non conosce il reale stato di salute della popolazione. Previsto in uscita prossima settimana, il decreto del governo sulle liste d’attesa dovrebbe abbattersi su medici di famiglia e (meno) pediatri, imponendo il taglio di un 20% di prescrizioni improprie di esami e visite specialistiche. Le prime indiscrezioni prevedono che il medico indicherà in ricetta il quesito diagnostico indicato con standard Icd-9-cm. Quindi, in base al bacino di pazienti di ogni medico, l’Asl confronterà le prestazioni attese e le ricette emesse: se la bilancia pende troppo per le seconde, la Regione – pare - non sanzionerà il camice ma gli chiederà solo conto. Tuttavia, è su una base simile che le Corti dei Conti regionali hanno indagato e in casi limitati condannato medici per danno erariale. L’Istituto superiore di Sanità lavora a linee guida per indicare ai medici buone pratiche prescrittive. In parallelo, lato offerta, si pensa a consentire agli ospedali di acquistare dai propri medici prestazioni libero professionali fuori orario anche intramoenia, o di appaltare set di esami diagnostici al privato convenzionato. Per lo Snami anziché, tagliare le richieste dei pazienti del medico di famiglia, si dovrebbe imporre ai medici ospedalieri di esercitare in libera professione solo dopo aver esaurito le liste d’attesa. Lo afferma il segretario nazionale Gianfranco Breccia in un comunicato.
Il presupposto della riflessione è che la colpa delle attese non è del medico di famiglia, che prescrive ragionando in chiave di prevenzione su un paziente che conosce bene, ma della stessa lista d’attesa che si autoalimenta. Giorni fa un comunicato a firma della tesoriera Snami Simona Autunnali sottolineava come, pur richiedendo correttamente il medico di famiglia esami secondo i criteri “urgente a 10 giorni-differibile-programmabile” (come da decreto liste d’attesa), le strutture pubbliche e private non rispondano mai nei tempi richiesti. «È normale che per non aspettare troppo chi può si rivolge al privato –dice Breccia – ma a sua volta il privato suggerisce gli accertamenti di supporto a carico del Ssn e rimette in gioco il medico di famiglia, che si trova a prescrivere non solo per quanto lo riguarda, ma anche per gli specialisti pubblici, privati, pubblici in libera professione intramoenia e pubblici in extramoenia decentrata, alimentando suo malgrado le liste d’attesa. A nulla serve che in ricetta si possa segnalare se la prescrizione è suggerita dallo specialista: la responsabilità prescrittiva è nostra perché avalliamo le richieste dei colleghi e deteniamo i ricettari, che sono dei libretti degli assegni del Servizio sanitario nazionale. Lo stato, del resto, sa che la maggioranza delle prescrizioni viene dallo specialista ma vorrebbe che fossimo noi mmg i suoi cani da guardia». Un problema che c’è sempre stato aggiunge Breccia. «Inizio anni 2000 come Snami chiesi ai colleghi nella mia regione una statistica su Tac e Rmn: il 70% era indicato da specialisti, metà nel Ssn e metà fuori. Attenzione, i colleghi ospedalieri dovrebbero prescrivere su ricettario del servizio sanitario, lo dicono le norme regionali (Breccia è piemontese, ci sono misure analoghe in quasi tutte le altre regioni, ndr). Ma non lo fanno. E nessuno gli chiede conto. Ho chiesto alla Regione se sia in grado di scorporare la spesa indotta dagli specialisti, e la risposta è stata negativa. Ma pur non sapendo quante siano le prescrizioni originate dai medici di famiglia, il governo decide di agire solo su di noi. Vuole che prendiamo la responsabilità dei tagli lineari che subiranno i cittadini italiani. Non mi stupirei che i colleghi vicini alla pensione anticipassero la fuga». I medici ospedalieri hanno sempre sostenuto che la libera professione non è in contrasto con le liste d’attesa ma si applica a una domanda di salute esterna a quella del SSN. Breccia taglia corto: «Quando fu istituita l’intramoenia le attese non erano ai livelli di oggi, e nessuno poteva prevedere quanto è avvenuto a seguito del Covid-19».
Non è tutto. «Con questo decreto il decreto, a quanto pare, userà due pesi e due misure. Ai medici di famiglia taglia le prescrizioni, alle farmacie darà la possibilità di prescrivere». Il tema suggerito da Breccia è sviluppato nel comunicato a firma di Pina Onotri, Segretaria del Sindacato Medici Italiani-SMI. Il decreto, è l’argomento, abilita anche le farmacie ad eseguire esami per sfoltire le liste d’attesa. Ma, a quanto pare, non limita gli esami eseguibili in farmacia al solo insieme dei test prescritti da medici, siano essi del Servizio sanitario o privati. Chiunque può entrare in farmacia e chiedere un test. Di fatto, spiega Onotri, «si permette ai farmacisti di prescrivere Ecg e Holter anche senza competenze mediche specifiche. È gravissimo. Davanti alla crisi del SSN ci aspettavamo il rafforzamento della medicina di prossimità. Solo in questo modo si potrebbero abbattere le liste di attesa». Onotri aggiunge che nel definire l’appropriatezza prescrittiva fin qui si tiene conto della sola spesa, e non del dato clinico, o della necessità dei cittadini di effettuare gli esami. «In tali condizioni chi può giudicare l’operato di un medico di famiglia? Le commissioni di burocrati delle Asl? Perché i medici dovrebbero essere controllati sull’appropriatezza prescrittiva se hanno completato un lungo percorso formativo che prevede una laurea, una specializzazione, un esame di Stato, un’abilitazione alla professione e tanta esperienza sul campo?»