Le reti oncologiche territoriali sono state oggetto di una tavola rotonda nell'ambito dell'edizione 2024 del convegno Cracking Cancer, tenutosi il 10 e 11 aprile a Genova.
“Cracking Cancer vuole essere il testimone attivo di un'epoca in cui la malattia tumorale inizia a sgretolarsi, e in cui è necessario chiamare tutti gli altri attori a svolgere un ruolo sinergico per vincere la battaglia contro il cancro” ha sottolineato Gianni Amunni, Coordinatore scientifico Ispro- Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica, Regione Toscana e Direttore Dipartimento Oncologico, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze. “Per questo cerchiamo di riunire, in una visione corale, scienza e organizzazione, ricerca e comunicazione, pazienti e curanti, decisori e industria, investimenti e sostenibilità. Da una oncologia incentrata sull’ospedale, in anni recenti si è passati alla necessità di adeguare le strutture di cura a nuove esigenze, basti pensare all'aumento della diffusione delle terapie orali. Ma mancano organizzazione e coordinamento sul territorio, che per questo è un “nodo” della rete oncologica”.
Secondo Paolo Pronzato, coordinatore Dipartimento Interaziendale Regionale, DIAR Oncoematologia, ALiSa Azienda Ligure Sanitaria e Presidente Comitato Scientifico Associazione Periplo, “l’oncologia si trova di fronte, a nuove sfide. Dalle innovazioni tecnologiche quali per esempio diagnostica molecolare, imaging funzionale, terapie bersaglio, immunoterapia, alla necessaria rivoluzione organizzativa basata sulle reti oncologiche, strumento in grado di offrire appropriatezza ed equità nella offerta di trattamenti caratterizzati da livelli tecnologici e costi elevati, e su un approccio multidisciplinare”.
I dati indicano un importante aumento della prevalenza delle patologie oncologiche, imputabile alla crescente quota dei malati cronici oncologici lungo-sopravviventi, che presentano bisogni molto diversi tra loro; da situazioni ad elevata intensità terapeutica a casi di tipo socio-sanitario, che non possono essere gestite solo attraverso l'oncologia erogata all'interno di una struttura ospedaliera.
Se la rete oncologica è il miglior modello per rispondere alle esigenze dei pazienti oncologici, e dare valore al percorso nel suo complesso, serve un nuovo paradigma culturale che veda al centro non l’alternativa ma l’integrazione tra ospedale e territorio, in primo luogo con i medici di medicina generale. Necessarie a questo scopo formazione condivisa da produrre sul territorio, ricerca epidemiologica collaborativa e maggior fruibilità delle informazioni da parte dei pazienti.
“L’oncologia è stata anticipatoria in molti ambiti -per esempio dai ricoveri in day hospital all'approccio multidisciplinare come momento strutturale della valutazione del singolo caso fino al fatto che è stata la prima disciplina in cui si è parlato di reti-. Oggi è arrivato il momento di parlare più decisamente di integrazione ospedale-territorio, al fine di rendere l’organizzazione ergonomica rispetto ai bisogni ai quali deve dare risposta” afferma Amunni che aggiunge: “ciò che attende i pazienti al di fuori dell'ospedale non è altrettanto efficiente, un punto che è oggetto di riflessione da parte delle società scientifiche. Per integrarli occorre ripensare il percorso dei malati oncologici, mettendo a disposizione di pazienti e curanti nuovi contesti assistenziali destinati ai diversi bisogni -dal domicilio protetto alle case della salute e le strutture distrettuali. Diviene quindi rilevante anche la multi-professionalità necessaria a questo scopo, con diverse figure non oncologiche attivamente coinvolte, dagli psico-oncologi ai fisioterapisti riabilitativi, ai nutrizionisti. Tutti dovrebbero essere delocalizzati sul territorio, così come anche l'erogazione delle terapie a bassa intensità”.
Spiega Pronzato: “sono quattro i punti fondamentali della nuova organizzazione a rete sul territorio: percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali (Pdta) trasversali rispetto ai servizi coinvolti e alle diverse Aziende sanitarie, medicina di precisione, gestione multidisciplinare, con la creazione di un team multiprofessionale, e infine percorsi in luoghi di cura. Rispetto a quest'ultimo punto, vale la pena di sottolineare che considerando i cambiamenti occorsi nel trattamento dei pazienti oncologici, la malattia viene ormai inserita anche tra le patologie croniche, con conseguenti necessità di integrazione tra diverse organizzazioni socio-assistenziali. Nonostante l’oncologia sia tuttora incentrata sulle strutture ospedaliere, per cui il cancro è l'unica tra le malattie croniche in cui la maggior parte del percorso avviene in ospedale, si sta assistendo a ulteriori cambiamenti nei bisogni che devono coinvolgere il territorio”.
Stefania Cifani