L’accordo 2019-21 sulla convenzione di medicina generale è entrato in vigore nel week-end subito dopo l’ok della conferenza stato regioni, senza attendere la pubblicazione. Ma se alcune sigle pensano al nuovo accordo, Snami –che ha firmato con riserva– e Sindacato Medici Italiani hanno qualche dubbio sul tema centrale del ruolo unico, cioè dell’occupazione ad ore più scelte dei nuovi medici. Lo Smi inoltre sollecita l’immediata applicazione dell’intesa. Aumenti ed arretrati, ricorda una nota dell’Esecutivo, vanno corrisposti entro 60 giorni da adesso «come ristoro per coprire i costi di gestione degli studi medici, lievitati moltissimo in questi anni e per coprire l’inflazione che ha eroso le retribuzioni». Per la sigla guidata da Pina Onotri, restano poi molte ombre sulla mancata previsione – tra le opzioni – del part-time, cioè della possibilità di riduzione volontaria di ore/scelte da parte del medico, e sulla mancata valorizzazione del lavoro straordinario oltre il tetto delle 38 ore, oltre che sulla mancata apposizione di un limite massimo all’orario. «Senza queste innovazioni c’è il rischio di un’ulteriore fuga dei giovani medici dalla medicina generale, soprattutto delle giovani colleghe, che ormai rappresentano il 60% dei professionisti sul territorio». In particolare, continua la sigla, «il ruolo unico come formulato dell’Accordo 2019-21, penalizza anche i medici in formazione che hanno assunto gli incarichi provvisori e che col nuovo contratto con 38 ore sarebbero costretti ad aprire uno studio in periferia». Essendo le 38 ore compatibili con 400 pazienti, poi, i giovani lavorerebbero circa 48 a settimana, e più ancora, «in quanto la norma non tiene conto del lavoro di back office, oltre che front office, svolto dai medici verso i propri pazienti. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà ai medici in formazione di questo triennio (…) e ci impegneremo nel prossimo ACN affinché siano risolte queste criticità». Identiche perplessità le esprimono in area Snami il presidente Omceo Mi Roberto Carlo Rossi e e il segretario Ugo Tamborini, ospiti al congresso di Snami e Snamid a Catania. «Con il “ruolo unico” –dice Rossi– si introduce il medico vincitore della zona carente sia in guardia medica sia in distretto. Sembra una conquista, ma in realtà non lo è. La grande fregatura sta nel fatto che non si ha più un lavoro codificato con i propri pazienti, e ci si sobbarcano ore aggiuntive regolate da accordi regionali». Tra l’altro, con la pandemia «sono aumentate sia le onerosità a carico del medico sia le modalità di contatto tra assistito e medico. Anche se si mettono filtri, il paziente non può essere lasciato solo».
Rossi invita a chiarire un equivoco su cui vivono le posizioni della parte pubblica: il medico di famiglia lavora in realtà ben più di 15 ore a settimana. «Le elucubrazioni del nuovo accordo collettivo risalgono al 2010, quando probabilmente c’era ancora una medicina di famiglia figlia del passato. Ad oggi si lavora molto più di 38 ore settimanali, non c’è mai una fine. Può funzionare in piccole comunità ma non ovunque». Come spiega il Presidente Snami Catania Francesco Pecora, «i problemi di carenze stanno iniziano anche in Sicilia, dove non c’erano mai stati, complice l’impennata dei pensionamenti. Burocrazia e retribuzioni falcidiate da spese in crescita fanno da deterrente per i giovani. I medici del triennio chiedono di fare sostituzioni ma in pochi cercano la titolarità, foriera di orari lavorativi spesso insostenibili». E se a Catania, Caltanissetta, Bagheria aprono nuove case di comunità, «trovare personale e soprattutto medici di famiglia per le CdC, con una categoria in declino demografico, è un vero problema. Del resto, come si può pensare di lavorare per tutta una vita con ore ed assistiti, con stipendi in calo e massimali orari e di scelte magari difficili da sbloccare?» Per Tamborini, anche il tema della pensione potrebbe ulteriormente disincentivare la scelta della medicina generale tra i giovani. «Versare soldi in Enpam prima permetteva di raggiungere una pensione più cospicua rispetto a quella Inps. A seguito della riforma Enpam del 2013, la situazione si è invertita. Se i senior hanno in pancia un sistema di calcolo con anni di versamento a rendita elevata, le attuali generazioni hanno rendite previdenziali estremamente basse».