Una ricerca condotta dal Politecnico di Milano in collaborazione con Humanitas ha portato alla creazione di un modello tridimensionale del tumore alle vie biliari, noto come colangiocarcinoma. Il modello, contenuto in un microchip di pochi centimetri, è stato sviluppato utilizzando campioni di tumore prelevati direttamente dai pazienti. Questa tecnologia all'avanguardia, conosciuta come "organ-on-chip", rappresenta un punto di svolta nella lotta contro questa forma di cancro.
Il progetto è il risultato di un'efficace collaborazione tra esperti di diversi campi. Da una parte, Ana Lleo De Nalda, professore ordinario di Humanitas University e capo del laboratorio di Immunopatologia Epatobiliare di Humanitas, e dall'altra, Marco Rasponi, professore associato di Tecnologie per la medicina rigenerativa al Politecnico di Milano e responsabile del Laboratorio di Microfluidica e Microsistemi Biomimetici.
I risultati di questa ricerca, supportata dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, sono stati pubblicati sul prestigioso Journal of Hepatology Reports.
Il colangiocarcinoma, un tumore raro del fegato, colpisce circa 5.500 persone all'anno in Italia. Questo tipo di cancro, che si origina dalla trasformazione maligna delle cellule che rivestono le vie biliari, è spesso diagnosticato in stadi avanzati, rendendo il trattamento particolarmente difficile.
Il chip 3D, realizzato in polimero e dotato di canali micrometrici, permette di "seminare" cellule tumorali prelevate dai pazienti, ricreando così l'architettura del tumore. Questo modello permette non solo di accelerare la ricerca sul colangiocarcinoma, ma anche di avvicinarsi a terapie sempre più mirate e personalizzate.
I ricercatori hanno già dimostrato la capacità del dispositivo di replicare fedelmente la realtà clinica, sia in termini di attivazione delle cellule T sia nella risposta ai farmaci. Il passo successivo prevede l'arricchimento del modello con ulteriori tipi di cellule immunitarie e l'introduzione di micro-pompe per simulare il flusso sanguigno. L'obiettivo è testare il sistema su un numero maggiore di pazienti, per confermare la sua efficacia.
«Siamo molto felici del risultato ottenuto, possibile solo grazie all’incontro di expertise e conoscenze diverse. I prossimi passi saranno arricchire ulteriormente il dispositivo, sia come modello per la ricerca sia come possibile test farmacologico personalizzato. Dobbiamo aggiungere, per esempio, alcuni tipi di cellule dell’immunità innata, come i macrofagi, che hanno un ruolo importante nella progressione del tumore, e introdurre delle micro-pompe in grado di riprodurre il flusso sanguigno all’interno dei vasi. Inoltre, vogliamo testare il sistema in gruppi più ampi di pazienti, per confermare la sua capacità di ricapitolare i fenomeni che osserviamo in clinica», concludono Ana Lleo e Marco Rasponi.