Si possono manifestare sintomi a lungo termine - o "long-raffreddore" - anche dopo infezioni respiratorie acute che risultano negative al test COVID-19. È quanto emerge da uno studio della Queen Mary University di Londra, pubblicato sulla rivista EClinicalMedicine edita da The Lancet. Tra i sintomi più comuni del "long-raffreddore" vi sono tosse, mal di stomaco e diarrea a distanza di oltre 4 settimane dall'infezione iniziale. I risultati suggeriscono che potrebbero esserci impatti a lungo termine, attualmente non riconosciuti, sulla salute a seguito di infezioni respiratorie acute non COVID, come raffreddori, influenza o polmonite. La ricerca ha confrontato la prevalenza dei sintomi a lungo termine dopo un episodio di COVID rispetto a un'altra infezione respiratoria acuta, analizzando i dati di 10.171 adulti.
"Abbiamo indagato 16 sintomi diversi segnalati nel long COVID - spiega all'Ansa l'autrice
Giulia Vivaldi - tosse eccessiva, disturbi del sonno, di memoria, difficoltà di concentrazione, dolore muscolare o articolare, disturbi di gusto o olfatto, diarrea, dolore addominale, cambiamenti nella voce, perdita di capelli, battito cardiaco accelerato insolito, svenimenti o vertigini, sudorazione insolita, mancanza di respiro, ansia o depressione e affaticamento. Le persone con infezione precedente da SARS-CoV-2 o precedenti infezioni respiratorie acute (ARI) non COVID erano entrambe più a rischio di segnalare sintomi rispetto alle persone senza infezioni segnalate. Mentre i guariti dal Covid erano più propensi a segnalare tutti i sintomi esaminati - continua - quelle con infezioni non COVID segnalavano quasi tutti i sintomi, ad eccezione dei problemi di gusto o olfatto e perdita di capelli. I sintomi più comuni riscontrati sono tosse eccessiva e problemi gastrointestinali come diarrea e dolori addominali". Il tempo medio trascorso dall'infezione era diverso tra i due gruppi: i guariti dal covid segnalavano i loro sintomi in media 44 settimane dopo l'infezione, mentre le persone con infezioni non COVID segnalavano i loro sintomi in media 11 settimane dopo l'infezione. "Per ora - spiega - non abbiamo prove che questi 'lunghi raffreddori' abbiano gravità e durata simili al long COVID".
Una nuova variante, intanto, si affaccia sulla scena. Identificata con la sigla HV.1, si sta diffondendo negli Stati Uniti dove, secondo gli esperti, potrebbe presto diventare dominante, superando Eris (EG.5) e Fornax (FL.1.5.1). Nel tracciamento delle varianti effettuato dai Centri di controllo delle malattie (Cdc) a fine settembre, negli States HV.1 è passata in due settimane dal 7-8% al 12.9%. E continua a crescere. "HV.1, ricombinante di EG.5.1.6.1 o XBB.1.9.2.5.1.6.1, con una particolare mutazione che ricorda la Delta - spiega Raj Rajnarayanan, ricercatore e professore al New York Institute of Technology College of Osteopathic Medicine (Nyitcom) dell'università dell'Arkansas, su X - diventerà presto il lignaggio di Sars-CoV-2 maggiormente in circolazione negli Usa". La sottovariante è stata isolata in particolare a New York. "HV.1 presenta un leggero vantaggio in termini di crescita - sottolinea il ricercatore - rispetto ai lignaggi in circolazione a New York. Sarà interessante vedere come si evolverà e osservare le prestazioni di HV.1 e BA.2.86". Al momento è ancora una sigla sotto osservazione negli States, ma se continuerà a crescere e si imporrà all'attenzione internazionale, anche HV.1 sarà presto ribattezzata, come Triton, Cerbero, Kraken, Arturo, Eris, l'ultima arrivata Pirola e il meno noto Fornax.