
È notizia di qualche giorno fa, negli Stati Uniti per la prima volta una diagnosi di ChatGPT ha risolto il problema di salute di un bambino dopo tre anni di inutili consulti specialistici. Si avvicina il tempo in cui, anziché peregrinare da questo o quel medico, magari inutilmente, immettendo i dati nel nostro pc o nel cellulare avremo la soluzione per le nostre malattie. Quel momento è una data precisa, in realtà, ed avverrà nel 2045. In quell'anno, dicono i modelli previsionali, l'intelligenza artificiale supererà quella umana e si verificherà quella "technological singularity" fin qui ventilata solo nei libri di fantascienza. Da allora saranno le macchine a dire agli umani come progettarle, o a progettarsi da sole.
Alla "technological singularity" è stato dedicato in questi giorni a Roma il Simposio Internazionale sugli Avanzamenti nella Medicina Rigenerativa. Un evento di due giorni, organizzato presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio dal Centro di Medicina Rigenerativa dell'Università di Tor Vergata con Istituto delle Scienze Cardiovascolari, St. Boniface Hospital Albrechtsen Research Centre, Università di Manitoba, Winnipeg,Università della Campania, Rete Internazionale delle Cellule Staminali e dell'Ingegneria dei Tessuti. Al centro del simposio, gli interrogativi sulla convivenza tra medico e macchina ma anche l'ipotesi di impatto tra macchine intelligenti ed organizzazione dei sistemi sanitari, ed il contributo dei sistemi di AI alla ricerca, alla digitalizzazione, al rapporto medico-paziente (ci sarà ancora?).
L'evento è stato promosso dal professor
Paolo Di Nardo responsabile del Laboratorio di Cardiologia Molecolare e Cellulare del Dipartimento di Medicina Traslazionale a Tor Vergata nonché fondatore del Centro di Medicina Rigenerativa dell'ateneo stesso. Tra gli ospiti, eminenti personalità del mondo accademico nazionale ed internazionale, ma anche della medicina di famiglia, della pubblica amministrazione, delle professioni. Il punto di partenza è che, come le migrazioni e le crisi demografiche, la digitalizzazione e l'intelligenza artificiale sono protagonisti di rivoluzioni epocali che oggi i governi degli Stati non sembrano in grado di affrontare con politiche organiche. «La tecnologia è avanzata in modo impensabile negli ultimi anni e dobbiamo chiederci come cambierà la medicina da qui a 20 anni, di che medici avremo bisogno, quanti, con quale formazione alle spalle, per non parlare delle altre professioni sanitarie o del mondo sanità», spiega Di Nardo. La domanda è se le macchine si sostituiranno autonomamente al medico ovvero se, ancora governabili dall'alto di conoscenze sempre più avanzate, offriranno contributi alla ricerca ed all'assistenza velocizzando in modo decisivo l'elaborazione dei dati. Di Nardo è tra chi pensa che sia nelle cose una crescente interazione tra l'umanità e la tecnologia «ma a quel punto sistemi sanitari che già oggi fanno acqua, che come il nostro si dividono in 21 centri decisionali le risorse del Fondo sanitario non certo ottimizzandole, che fine faranno? Siamo già fuori tempo».
Molte professioni anche fuori dalla sanità si domandano se sistemi informatici avanzati di conversazione come Chat GPT potranno buttare fuori dal mercato le professioni intellettuali. Per Di Nardo, la questione ha due risvolti: «Il medico di oggi non può non scontrarsi con l'intelligenza artificiale, ha problemi nell'uso dell'informatica, un'età media alta. Serve una formazione diversa, adeguata ai tempi: difficilmente faremmo pilotare un jumbo delle odierne aerolinee civili al Barone Rosso che guidava magistralmente i velivoli nella Prima Guerra Mondiale. Ma attraversare un nuovo modello formativo non è solo imparare la robotica. Il simposio, con il suo programma sterminato ed internazionale, tratta delle sfide di cybersecurity, di privacy, dell'uso della robotica nella cura dei pazienti, oltre che nella "care", dei trattamenti innovative guidati dalla "macchina" in cardiologia, oncoematologia, oncologia, malattie infettive, di riconoscimento delle caratteristiche cellulari, di cellule staminali, di biomateriali, di bioingegneria, di calcolo, di strategie innovative nell'uso di terapie avanzate, di nuove apparecchiature indossabili nell'healthcare. Sono tanti i campi che appassionano chi oggi fa medicina, e pertanto in parallelo crescono gli ambiti formativi di interesse per il medico "umano", le nuove specialità». Ci avviamo dunque ad una situazione dove la macchina più che sostituire il medico, continuerà a giovarsi delle sue competenze sempre più evolute? «Credo sia difficile che l'intelligenza artificiale possa sostituirsi al rapporto Medico-Paziente. I pazienti sono esseri analogici, non lineari, provano empatia e si affezionano a persone come loro, umane. Però bisognerà predisporsi a novità importanti, ad esempio ripensare le determinanti della spesa in sanità, o disporre di colleghi formati in modo da garantire processi di diagnosi, cura, riabilitazione "umanizzati", nell'interesse della persona umana assistita».