
Lasciar perdere lo sterile dibattito sul passaggio a dipendenza del medico di famiglia e concludere al più presto per il 2019-21 un accordo ponte dandosi il tempo per ridisegnare l'assistenza territoriale nel prossimo accordo 2022-24.
Il messaggio arriva, con sfumature diverse, dal presidente degli ordini
Filippo Anelli e, per i sindacati, dal presidente Snami
Angelo Testa. Ad aprire le danze, in pieno agosto, la riflessione mediatica del leader Fnomceo, di estrazione Fimmg: per far funzionare le case di comunità ci vuole il medico di famiglia, ma non è indispensabile che abbia un contratto da dipendente. Il regime giuridico c'entra poco con l'apporto che la categoria darà alle reti di professionisti sul territorio. Peraltro, "le regioni farebbero fatica a garantire ad ogni medico dipendente un ambulatorio attrezzato e personale adeguato in ogni angolo del paese". La chiave per il coinvolgimento dei Mmg è fare leva sulle aggregazioni di medici convenzionati esistenti, le Aft. Ma ciò può valere a partire dalla convenzione 2022-24, quella finanziabile in base al decreto del 2022 sugli standard dell'assistenza territoriale ed al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Per la convenzione antecedente, la 2019-21 non ancora firmata, che non può contenere elementi pensati dopo il 2021, l'invito è a sbrigarsi. E qui, il leader Snami Testa tira fuori l'ipotesi di un "accordo ponte" per il 2019-21, da firmare al più presto con la Sisac, Il nuovo accordo darebbe ai Mmg gli arretrati attesi da anni; subito dopo, sindacati e parte pubblica si impegnerebbero "a reperire i fondi necessari per la costruzione di una nuova medicina territoriale" nel quadro di "un contratto aggiornato alla mutate condizioni lavorative post-pandemiche", per arrivare ad "una retribuzione adeguata per i Mmg" ed alla liberazione da una "burocrazia che grava sulle spalle dei medici da troppo tempo".
A Doctor33 Testa specifica i motivi per cui si impone la convenzione ponte. «L'avevamo già proposta per il 2018-2020 ma non siamo stati ascoltati. L'accordo nazionale che in questi giorni riprendiamo a trattare non può parlare di casa od ospedale di comunità, ma può offrire elementi per far decollare gli accordi regionali, che al momento latitano. O meglio, si vedono accordi parziali, che non affrontano tutti i temi dell'assistenza territoriale di una regione. Gli arretrati di tre anni sono poca cosa ma la chiusura dell'accordo darebbe modo di mettersi in pari, e di affrontare i nuovi problemi». Quali? «Prioritario è capire se lo stato vuole investire sul Servizio sanitario e sull'assistenza territoriale. Per investire bisogna prima pensare, programmare, chiedersi quanti medici del territorio servano di qui a 20 anni; serve una riflessione sul numero chiuso all'ingresso a Medicina; ne serve un'altra su ciò che il SSN può offrire e su ciò da cui dovrà giocoforza disimpegnarsi per garantire a tutti le terapie salvavita, i farmaci innovativi. Sono nodi cui va data risposta subito dopo aver rimosso, con l'accordo 2019-21, eventuali ostacoli che impediscono alle regioni di sviluppare accordi periferici».
In questi giorni si riaprono le trattative con la Sisac, «c'è in piedi il ricorso sulla rappresentatività di un sindacato, ma una volta risolte le questioni formali serve una trattativa seria per la firma dell'accordo pregresso e serve il coinvolgimento di regioni e governo per il successivo. Che deve prevedere investimenti. Non solo il recupero dell'inflazione: servono scommesse mirate e reali, il SSN si sta dissolvendo e la stessa casa di comunità rischia di essere una risposta irrealistica». Testa parla per esperienza diretta. «Nel distretto piemontese dove operavo qualche anno fa ho creato con altri 13 colleghi una casa della salute, dove a partire dall'assistenza ai pazienti diabetici si eseguivano "ambulatori per patologia". L'esperienza è finita con il Covid (che paradossalmente avrebbe potuto rivelarsi un banco di prova vincente), ma il "succo" è che, se il medico di famiglia nella CdC può dare risposte per le patologie croniche integrandosi con lo specialista, nessuna risposta sembra poter dare, dipendente o no, di fronte a pronti soccorso affollati, o a giovani colleghi che hanno problemi a lavorare negli studi sul territorio». In Casa di comunità il medico di famiglia dipendente può contribuire ad abbattere i tempi d'attesa offrendo esami? «Non farebbe medicina generale, si potrebbe inquadrare piuttosto una forma di libera professione, un'intramoenia. Il nodo liste d'attesa dipende poco da comportamenti devianti di singoli che pure ci sono e sono stati denunciati dai Nas; la recente indagine, comunque evidenzia come il collo di bottiglia si debba ad una domanda esplosa per l'aumento dell'età media e delle patologie. Se al Mmg si chiede di erogare prestazioni nella CdC aggiungendo altre ore alle tante che già fa (e magari per coordinarlo meglio con le altre figure lo si vuole portare a dipendenza) non si offre una soluzione vera. L'ingresso in CdC non solo allontana il Mmg dallo studio sotto casa del cittadino, ma non crea le condizioni per offrire più medicina di famiglia. Quali prestazioni ci si chiedono? Noi nelle Case oggi identifichiamo strutture intermedie tra studio ed ospedale, spesso annunciate dalle regioni senza pensare a monte alle prestazioni realmente ipotizzabili in quei setting e al loro costo per la sanità pubblica. Il ragionamento va invertito. Gli italiani non hanno bisogno di questo ma di modelli assistenziali realistici, e finanziati. Sapendo cosa si deve dare e cosa togliere».