
Provare dolore corporeo negli anni successivi ad un attacco cardiaco è collegato ad un maggior rischio di morte, questo è quanto conclude uno studio pubblicato sul
Journal of American Heart Association.
Le malattie cardiache, incluso l'infarto, sono la principale causa di morte nei paesi occidentali, ma la maggior parte delle persone sopravvive al primo attacco cardiaco e continua a condurre una vita normale. Tuttavia, se una persona continua a soffrire di dolori, anche non collegati al muscolo cardiaco, negli anni successivi ha il doppio del rischio di morire rispetto a chi non li soffre.
Per questa ricerca, gli scienziati hanno esaminato i dati sanitari di 18.376 pazienti con infarto di età inferiore a 75 anni monitorati da un registro in Svezia tra il 2004 e il 2013. Ai pazienti è stato chiesto di compilare questionari che valutavano i loro livelli di dolore durante gli appuntamenti di follow-up. Tuttavia, il sondaggio non ha chiesto quanto tempo è durato il dolore.
Il dolore non era raro tra i sopravvissuti all'infarto. Due mesi dopo l'infarto, il 65% ha riferito qualche dolore, mentre questo numero scende dopo circa un anno, quando circa il 45% dei pazienti riferiva dolore moderato o estremo.
I ricercatori hanno scoperto che tre gruppi demografici avevano maggiori probabilità di segnalare dolore estremo: donne, non fumatori e persone con diabete.
Nello studio i pazienti che hanno riferito dolore da lieve a moderato hanno avuto il 35% in più di possibilità di morire rispetto ai pazienti che non hanno riportato dolori nei 8 anni e mezzo di follow-up dello studio, nei pazienti invece che riportavano forti dolori questo rischio aumentava del 105% (rischio di morte più che raddoppiato).
Lo studio non è stato in grado di individuare la causa esatta del legame tra dolore e rischio di morte, ma potrebbero esserci meccanismi attraverso il quale il dolore aggredisce più apparati corporei, influenzando negativamente anche il sistema cardiovascolare.
Il dolore potrebbe poi potrebbe diventare un deterrente contro cambiamenti positivi nello stile di vita, andando ad aumentare fattori di rischio (ad esempio la sedentarietà).
Le persone che assumono farmaci per il dolore, inoltre, possono anche avere effetti collaterali che aumentano il rischio di morte, molti antidolorifici, anche quelli venduti da banco, possono aumentare infatti il rischio di problemi cardiovascolari.
Lo studio può quindi essere un punto di partenza per i clinici per indirizzare i pazienti verso un adeguato percorso di riabilitazione cardiovascolare e monitorare i livelli di dolore in modo da mettere in atto tutte le misure preventive al fine di ridurre la mortalità.