
Un team di ricerca dell'Istituto Humanitas di Rozzano (Milano) ha scoperto il "fuoco amico" che danneggia il tessuto cardiaco nei pazienti con Long Covid, anche a mesi di distanza dalla guarigione dell'infezione.
Il Long-Covid, un insieme di sintomi e disturbi più o meno severi che perdurano per mesi dopo aver contratto la COVID-19, potrebbe essere scatenato dalla capacità del virus Sars-CoV-2 di togliere il "freno" al meccanismo che impedisce alle cellule immunitarie circolanti di attaccare organi e tessuti del nostro organismo.
Questo meccanismo autoimmune identificato può persistere per mesi dopo la fine dell'infezione e potrebbe spiegare anche altri sintomi tipicamente associati al Long Covid.
I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista
Circulation e aprono la strada a una migliore comprensione della sindrome post virus.
Lo studio è stato condotto su campioni di sangue di pazienti ricoverati per Covid nell'Irccs Istituto Clinico Humanitas, ed è stato possibile anche grazie al sostegno del ministero dell'Università e Ricerca e della Fondazione Umberto Veronesi Ets.
Per capire cosa succede nel caso di complicanze cardiovascolari, i ricercatori hanno coinvolto pazienti ricoverati all'Humanitas, concentrandosi in particolare su chi, a distanza di 6 mesi dalle dimissioni, mostrava ancora alla risonanza magnetica un danno cardiaco. Si tratta di persone che non avevano una storia di malattie cardiovascolari alle spalle. Analizzando i campioni di questi pazienti i ricercatori hanno scoperto un'attivazione anomala di alcuni tipi di globuli bianchi - le cellule B, quelle deputate a produrre gli anticorpi - e hanno identificato la presenza di alcuni auto-anticorpi che riconoscono i tessuti del cuore. Questi auto-anticorpi sono assenti nei pazienti ricoverati con Covid ma senza danni cardiaci e sono sufficienti a scatenare una reazione autoimmune contro il cuore. I dati dello studio, seppur indicativi e derivati da un piccolo numero di pazienti, supportano l'ipotesi di partenza che danno cardiaco è compatibile con un meccanismo chiamato 'perdita di tolleranza immunologica'. L'ipotesi dei ricercatori è che durante l'infezione da Covid alcune cellule immunitarie fatte per riconoscere i nostri tessuti vengano accidentalmente stimolate dall'incontro con il virus e spengano 'il freno' che, in condizioni normali, impedisce loro di orchestrare un'aggressione contro il nostro organismo.
«Le complicanze cardiovascolari sono frequenti nei pazienti guariti da COVID-19, soprattutto in chi ha sofferto di una forma grave dell'infezione - spiega il prof.
Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento Cardiovascolare di Humanitas e docente Humanitas University -. Gli studi ci dicono che la metà dei pazienti ricoverati per COVID-19 con alti livelli di troponina (un indicatore di danno al tessuto cardiaco) presentano anomalie nella risonanza magnetica cardiaca anche a 6 mesi dalla guarigione».
Aver scoperto questo processo biologico potrebbe far luce anche su altri meccanismi autoimmunitari innescati dalla COVID-19, una malattia in grado di far "impazzire" il nostro sistema di difesa. Se ulteriormente confermati, i risultati ottenuti contribuiranno a dimostrare il ruolo determinante dell'immunità nelle malattie cardiache e l'efficacia dimostrata da alcuni farmaci immunomodulanti nel trattamento dei pazienti Covid.
«La perdita di tolleranza immunologica potrebbe spiegare anche la varietà dei sintomi del Long COVID: benché si tratti di un meccanismo singolo, può infatti produrre conseguenze cliniche molto diverse tra loro, a seconda del tipo di specificità delle cellule immunitarie che perdono la tolleranza dopo l'incontro accidentale con SARS-CoV-2 - spiega
Marinos Kallikourdis -. Ciò significa che lo stesso meccanismo potrebbe spiegare altre reazioni autoimmuni, ad esempio contro il tessuto nervoso, tipiche del Long Covid».