
Individuate per la prima volta alterazioni a livello cerebrale che si manifestano in modo diverso quando la malattia è nella sua fase attiva rispetto ai periodi di quiescenza. Un passo in avanti per comprendere la connessione tra l'infiammazione intestinale e le caratteristiche morfologiche e funzionali del cervello.
A mostrarlo per la prima volta è uno
studio guidato da ricercatori dell'Università di Bologna e dell'IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna - Policlinico di Sant'Orsola, pubblicato sulla rivista Inflammatory Bowel Diseases. I risultati ottenuti potrebbero rivelarsi utili sia per monitorare l'evoluzione della malattia che per individuare nuovi target terapeutici.
Il morbo di Crohn è una malattia infiammatoria cronica dell'intestino che colpisce circa 50mila pazienti in Italia: un numero in crescita negli ultimi anni. Nonostante gli importanti passi avanti nel campo delle terapie mediche e chirurgiche, il morbo di Crohn continua ad avere un forte impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti, ed è associato anche a forti stress psicologici e a casi di ansia e depressione. Nel cervello dei pazienti affetti dal morbo di Crohn ci sono alterazioni strutturali e funzionali che interessano sia le reti neurali implicate nel movimento e nel linguaggio, sia quelle che elaborano stimoli emotivi e cognitivi. Non solo: queste alterazioni cerebrali si manifestano in modo diverso quando la malattia è nella sua fase attiva rispetto ai periodi di quiescenza.
Studi realizzati in passato hanno mostrato che il cervello dei pazienti affetti dal morbo di Crohn non è colpito direttamente dai processi infiammatori della malattia, ma le strutture e le funzioni cerebrali possono subire delle alterazioni. A confermarlo è anche la presenza di una serie di sintomi come la fatica cronica, il dolore addominale cronico anche in assenza di infiammazione conclamata, e casi di alterazioni emotive e cognitive: tutti elementi che suggeriscono come il cervello sia in qualche modo coinvolto nel processo patologico del morbo di Crohn.
Per approfondire questo aspetto, i ricercatori hanno quindi messo a confronto, attraverso la risonanza magnetica, la struttura e la funzionalità cerebrali di pazienti in cui la malattia era in fase attiva con quella di pazienti in periodo di quiescenza (e con un gruppo di controllo).
I risultati ottenuti possono non solo essere utili per monitorare l'evoluzione della malattia e individuare possibili target terapeutici, ma sono anche un passo in avanti per arrivare a comprendere la connessione tra l'infiammazione intestinale e le caratteristiche morfologiche e funzionali del cervello.
"Arrivare a comprendere i meccanismi che collegano il morbo di Crohn con l'attività cerebrale può aprire la strada a nuovi approcci terapeutici per proteggere le funzioni e strutture cerebrali dei pazienti e quindi consentire loro una migliore qualità di vita", spiega
Alessandro Agostini, professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche e primo autore dello studio. "Con questa ricerca siamo riusciti a mettere in luce possibili meccanismi attraverso cui l'infiammazione cronica può coinvolgere il cervello e promuovere la comparsa di fatica, dolore cronico o anche favorire l'insorgenza di sintomi di sofferenza psicologica".
"Dalla nostra analisi sono emerse per la prima volta differenze a livello cerebrale, sia dal punto di vista morfologico che funzionale, a seconda delle diverse fasi di attività della malattia in cui si trovavano i pazienti", dice Agostini. "Queste differenze interessano diverse aree del cervello, in particolare la corteccia motoria, la corteccia parietale e alcune porzioni della corteccia cingolata posteriore: risultati che possono essere connessi al senso di affaticamento, ai sintomi tipici della sindrome dell'intestino irritabile e ai disturbi cognitivo-emozionali spesso riportati dai pazienti".