Si parla molto di declino demografico dei medici. E poco ci si accorge dell'analogo fenomeno che stanno vivendo gli infermieri. Professione "indispensabile" al Servizio Sanitario nazionale, "in ascesa" eppure nel 2021 c'è stato un crollo dei laureati, sotto i 10 mila, meno dei medici.
Otto anni fa, nel 2013 c'erano due laureati infermieri ogni medico ma da noi l'obiettivo di raggiungere questa proporzione, o quella "aurea" di 3 infermieri a medico è fallito, negli ultimi 11 anni ogni 8 medici si sono laureati 11 infermieri e nel 2021 9 infermieri ogni 10 medici. Nello stesso arco di tempo, i laureati a Scienze Infermieristiche i laureati sono in media 11.436 contro 15.464 posti a bando, cioè tre quarti del fabbisogno. A parlare sono i numeri di
Angelo Mastrillo docente di Organizzazione delle professioni sanitarie all'Università di Bologna. «Il fabbisogno, colmato all'81% nel già "buono" 2013 era riempito solo al 67%, per due terzi, un anno fa. Per il calo del 2020 e 2021 una spiegazione può essere nella difficoltà a completare i tirocini dei giovani laureandi che per legge si svolgono negli ospedali, molti dei quali erano alle prese con la pandemia e il tempo per insegnare era risicato», dice Mastrillo. Che non vede molte ipotesi alternative. «I nemmeno 10 mila di oggi sono stati immatricolati nel 2017 anno in cui nei fabbisogni c'era stato un lieve calo rispetto al biennio precedente. Non mi risultano grandi bocciature in università, mentre potrebbe pesare il fatto che molti atenei lamentano una disponibilità di posti limitata nell'insegnamento nella parte del tirocinio professionalizzante».
Sta di fatto che, mentre si attendono le disponibilità degli atenei, per i fabbisogni 2022-23 le regioni hanno indicato 24 mila infermieri da immatricolare, la Fnopi 29 mila, e i laureati oggi sono un terzo dell'indicazione Fnopi. Non solo, ma i grafici d'andamento delle lauree mediche ed infermieristiche (3 e 5 anni magistrale insieme) disegnano due curve, la prima faticosamente in ascesa, la seconda in discesa netta. A che livello è l'intoppo? Poche domande iniziali, pochi posti a bando, pochi aspiranti al concorso o alta mortalità nel corso di studi?
Giancarlo Cicolini membro del Comitato centrale Fnopi e Presidente Opi Chieti, individua dei fattori "mirati". «In primo luogo, nel 2020 e 2021 alcuni studenti non hanno terminato il percorso di studi nei tempi prefissati perché, in piena emergenza Covid, le sedi potrebbero aver limitato le attività di tirocinio, anche per dare ai futuri colleghi la garanzia di frequentare in sicurezza. In subordine, va detto che gli aspiranti infermieri sono relativamente di meno al Nord, dove in alcuni atenei le domande sono cronicamente inferiori ai posti a bando, e non è fattibile una vera selezione, mentre al Sud in genere i candidati superano i posti disponibili. Ma al di là di tutto, i numeri a mio avviso evidenziano una perdita di appeal della nostra professione, dovuta a vari motivi. Intanto, una mancanza di prospettiva nei percorsi di carriera, che vanno riconosciuti sia nelle strutture pubbliche sia nelle private per dare al professionista chance di crescita. Serve poi un riconoscimento economico: gli infermieri italiani restano i meno pagati nell'Unione Europea, e tale consapevolezza non è estranea al calo delle domande d'immatricolazione ai corsi di laurea». Cosa significa in questo momento valorizzare percorsi e competenze? «Significa abolire la fungibilità del ruolo -spiega Cicolini- cioè l'assunto secondo cui l'infermiere può esercitare in tutti i contesti indistintamente, oggi in Geriatria e domani in Emergenza. Serve che la professione si articoli per setting, con infermieri specialisti di volta in volta in area medico-internistica, chirurgica, territoriale e con il riconoscimento dei percorsi formativi post-base delle esperienze e della professionalità maturata nel mondo lavorativo».