Otto aziende su 10 (il 79%) nel settore dei dispositivi medici hanno ritardato la produzione e il 21% ha dovuto ridurla a causa dell'aumento dei costi delle materie prime. L'impatto della guerra ha ulteriormente aggravato la situazione: il 66% delle aziende ha avuto ulteriori problematiche per l'operatività (aumento costi e difficoltà approvvigionamento) e il 15% ha evidenziato ricadute dirette, operando nei Paesi coinvolti. Questi i principali dati emersi dalla seconda edizione dell'indagine condotta dal Centro studi di Confindustria dispositivi medici, per evidenziare l'impatto indiretto della pandemia prima e della guerra poi sull'industria del settore. Le imprese dei dispositivi medici - risulta dall'indagine - hanno sostenuto costi per acquisto di materie prime, in media, maggiori del 50% circa rispetto all'anno precedente.
Il 17% circa di queste imprese, inoltre, afferma di aver visto questa voce di costo più che raddoppiare dal 2021 al 2020. Un effetto di entità simile viene evidenziato anche in termini di costi per acquisto di servizi di finitura che, in media, sono risultati maggiori quasi del 65% rispetto all'anno precedente.La partita più importante, tuttavia, viene giocata - oggi, ma ancora di più in un futuro prossimo - sul mercato dell'energia: la media del tasso di variazione dei costi per acquisto di energia elettrica da parte delle aziende di dispositivi medici supera il 100%, determinando un effetto di portata simile, di riflesso, sui costi per acquisto di servizi di trasporto. Il 19% dei rispondenti, quasi uno su 5, dichiara inoltre di aver sostenuto, nel 2021, costi per acquisto di energia elettrica per un valore di 3 volte superiore rispetto a quello relativo all'anno 2020.
Le materie prime e i semilavorati, necessari per la realizzazione dei dispositivi medici, segnalati come maggiormente rilevanti in termini di variazione dei costi di acquisto - riferisce il centro studi in una nota - sono: alcuni metalli (per esempio acciaio, alluminio) e le principali fonti di energia (es. gas naturale, petrolio). In aggiunta, componenti elettrici ed elettronici, materie chimiche e plastiche, tessuti e imballaggi. Tra le principali preoccupazioni espresse dalle aziende ci sono la possibile perdita di un mercato di esportazione, la fragilità della catena di produzione che coinvolge materie prime esportate da Russia e Ucraina e ultima, ma non per importanza, la potenzialità più che concreta che la guerra si protragga nel tempo al punto da ridisegnare il contesto macroeconomico globale con un paradigma più fragile e frammentato.
"Pandemia, guerra e crisi delle materie prime - commenta
Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria dispositivi medici - stanno lasciando il nostro comparto in forte sofferenza. Le aziende dei dispositivi medici si rivolgono prevalentemente al pubblico e il mercato si realizza attraverso l'aggiudicazione di gare per lotti spesso molto grandi e pluriennali. Trattandosi di beni di prima necessità per il funzionamento di ospedali, ambulatori - sottolinea - non è possibile interrompere le forniture per non configurare un'interruzione di pubblico servizio. Da ciò si capisce come le peculiarità che caratterizzano il nostro settore producono effetti molto diversi rispetto ad altri comparti industriali, al di là dei numeri evidenziati dall'indagine. Senza considerare che un numero ampio di studi clinici, sia multicentrici che specifici, che venivano fatti in Ucraina, in Bielorussia e nella Federazione Russa sono stati bloccati perché non si riesce più a collaborare con gli ospedali in quelle aree, rallentando di fatto l'immissione dell'innovazione sul mercato".
"La guerra - denuncia ancora Boggetti - sta inoltre lasciando una sensazione generalizzata di paura anche a casa nostra: dobbiamo affrontare una stagione di investimenti nel servizio sanitario e nellamedicina territoriale e avere il coraggio di aumentare le produzioni a fronte dei finanziamenti collegati al Pnrr. A queste criticità vanno purtroppo aggiunti sistemi di tassazione specifici per il settore, come il payback e la tassa dello 0,75% sul fatturato, che andrebbero sospesi e superati, anche alla luce delle difficoltà che il settore sta vivendo a causa della congiuntura macroeconomica globale", conclude.