Grave forma di intolleranza al glutine, proteina presente in alcuni cereali, la celiachia si stima colpisca circa 600.000 persone in Italia, ma ancora tantissime persone non conoscono la loro diagnosi. Nel nostro Paese sono diagnosticate circa 233.147 persone, questo vuol dire che quasi 400.000 pazienti non sanno di essere celiaci e la pandemia ha rallentato ulteriormente l'iter diagnostico. A spiegarlo è l'Associazione italiana Celiachia, in occasione della settimana mondiale.
Riconosciuta dal 2005 come 'malattia sociale', la celiachia è la più frequente intolleranza alimentare a livello globale e attualmente per arrivare alla remissione dei sintomi, l'unica terapia è la dieta senza glutine per tutta la vita. E prima arriva la diagnosi, meglio è.
"Questa malattia è generalmente identificata con sintomi come diarrea e marcato dimagrimento, in realtà - osserva il presidente dell'Aic,
Giuseppe Di Fabio - la celiachia può essere caratterizzata da un quadro clinico variabilissimo e non colpisce solo l'intestino, ma può coinvolgere tutto l'organismo", determinando anche anemia, astemia, amenorrea, infertilità, aborti ricorrenti, ulcere del cavo orale, osteoporosi, dolori articolari, dermatiti.
Per iniziare a stare meglio è importante avere una corretta e veloce diagnosi. "Purtroppo, il percorso che porta alla diagnosi è ancora difficoltoso e lungo, in media occorrono sei anni per ricevere la diagnosi di celiachia e i dati del 2020 ci confermano una diminuzione del tasso annuale dei nuovi celiaci a causa della pandemia", precisa Caterina Pilo, direttore generale dell'Aic. La mancanza di informazioni riguarda pazienti e popolazione generale, ma non di rado anche i medici. "Per arrivare alla diagnosi correttamente - prosegue Pilo - è fondamentale non eliminare il glutine dalla propria dieta prima di aver completato tutti gli accertamenti, compresa la biopsia intestinale. Togliere il glutine prima di aver terminato gli accertamenti può falsare i risultati della diagnosi".