L'Italia non era pronta a reggere l'emergenza Covid, e ora è impreparata a reggere le conseguenze sul no-Covid. A dimostrarlo, il 4° Rapporto del network di esperti Salutequità cui si affianca un'analisi della mortalità a cura del gruppo di ricercatori dell'Università di Pavia coordinato dall'igienista
Anna Odone. Da quest'ultimo studio, che valuta cinque anni di dati Istat, emergono i decessi in più di 2020 e 2021 e il loro peso ripartito tra Covid ed altre patologie.
Su 108 mila decessi in più nel 2020, quasi metà sono stati per Covid, e nel 2021 sono scesi a due. Un ragionamento superficiale potrebbe far concludere che il virus stia "rientrando". In realtà c'è un boom delle altre malattie, ci sono 1,3 milioni di ricoveri in meno nel 2020 rispetto al 2019, quasi equamente divisi tra programmati ed urgenti; c'è un calo del 13% nei ricoveri di chirurgia oncologica, del 15% in radioterapia, del 30% per le chemioterapie, 90 milioni di prestazioni di laboratorio in meno, -8 milioni in riabilitazione, -20 milioni in diagnostica. «Andrebbe detto che nel 2020 "solo" un 47% dei decessi in più sulla media degli anni precedenti è da Covid, ma il restante 57% interessa malattie di altro tipo, e che nei primi 4 mesi del 2021 mentre l'incidenza del Covid sui decessi in più scendeva al 16%, si era impennata al restante 84% la quota di decessi per altre malattie», spiega
Tonino Aceti, fondatore e presidente di Salutequità. «Avevamo ben ragione a puntare l'attenzione sui pazienti no-Covid, il Servizio sanitario non è stato in grado di offrire loro risposte». Man mano che si assestava il fronte delle risposte al virus, si indeboliva quello contro malattie cardiovascolari, ematologiche, tumori. Nei prossimi anni, se pure caleranno i decessi per il virus, è ipotizzabile si impennino quelli per l'assistenza persa nei mesi di pandemia. «In questo anno e mezzo non ho evidenze di provvedimenti in aiuto dei pazienti no-Covid - dice Aceti - se non fosse per i 478 milioni stanziati dal Decreto Agosto (104/2020) per il recupero dei pazienti in lista d'attesa. Ma ricordo che il 67% di quelle risorse non è stato speso dalle Regioni, con percentuali che dimostrano come l'Italia sia spaccata in due: ad oggi il Sud ha speso solo il 4%, il Nord il 46% e il Centro il 55%».
Ma perché le regioni non affrontano il no-Covid? Aceti cita quattro motivi. «Primo, pesa un deficit di dialogo regioni-governo; il decreto agosto diceva alle regioni di presentare un piano entro un mese, ma ogni regione va alla sua velocità, molte sono arrivate a fine anno e per muoversi bisognava usare risorse stanziate il 31 dicembre 2019, ci si è impantanati in un dialogo lento. In secondo luogo, però, a parziale attenuante per le regioni bisogna dire che toccava a loro anticipare le risorse (spesso già intaccate dal far fronte a provvedimenti d'emergenza ndr) e poi accedere al riparto, il meccanismo burocratico di rendicontazione è complesso. Forse il governo avrebbe dovuto essere più realista e non chiedere solo un mese per l'adempimento; in alternativa avrebbe potuto dettagliare un piano - lo stesso che Salutequità auspica da un anno - delineando per Agenas il ruolo di supportare le Regioni, coordinarle e, se serve, sostituirsi ad esse. L'Agenzia dei servizi sanitari regionali è sul pezzo, lo dimostrano i regolari rapporti sulle attese ed il coinvolgimento nel piano nazionale esiti, ma anziché farsi affiancare da essa alcune regioni preferiscono soluzioni diverse: serve un mandato chiaro sotto la regia del ministero della Salute. In terzo luogo, si dovrebbe inserire un indicatore specifico relativo alla capacità della singola regione di recuperare prestazioni nella valutazione della qualità degli esiti. Magari avremmo fotografie impietose di tante sanità, dall'altra però i sistemi sanitari regionali attiverebbero soluzioni per mitigare i timori di una pessima valutazione con conseguenze benefiche per i residenti. Al contrario, se le regioni chiedono - come ho sentito - di non tenere conto di alcuni indicatori per il 2020, si va nel senso di "regolarizzare" il disservizio».
C'è infine il nodo del Sud, difficile capire perché i soldi non si tirano fuori anche quando ci sono. «I gap tra regioni sono amplificati da una quarta variabile, la carenza di personale. In emergenza i sanitari hanno moltiplicato i loro sforzi e tale carenza si è sentita meno, ma nel ritorno alla normalità pesa, penalizza chi ha fatto cassa sulla riduzione del personale ai minimi termini. Una strada percorribile in alcune realtà era ed è quella di impiegare negli ospedali specialisti convenzionati Asl per integrarne le prestazioni con quelle dei dipendenti». Inutile aggiungere che si lotta contro il tempo. «Se in autunno risalissero i contagi, credo che in nessuna regione vi sia un piano per sostenere entrambi i canali d'accesso - per pazienti Covid e no Covid - alle prestazioni Ssn, né ci sono linee guida nazionali in merito, e invece sarebbero auspicabili per evitare di tornare a chiudere i reparti, almeno ora che il vaccino lo abbiamo».
Mauro Miserendino