set182023
Tumore ovarico, da Acto Italia il primo libro bianco. Cambiare rotta per una gestione più efficiente e omogenea
Il 70% delle donne con tumore ovarico conosce già la malattia prima della diagnosi, contro il 30% di 10 anni fa. un netto ribaltamento della percentuale rispetto a 10 anni fa. Meno di tre pazienti su dieci, però, scelgono di curarsi in un centro specializzato per questa neoplasia. Inoltre, il 70% delle pazienti scopre il tumore quando è già in fase avanzata a causa di sintomi aspecifici e per la mancanza di strumenti di screening efficaci. Sono solo alcuni dei risultati dell'indagine condotta da Acto Italia (Alleanza contro il tumore ovarico) su oltre 100 pazienti sul territorio nazionale e contenuti in "Cambiamo rotta", il primo libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con questa patologia che è stato presentato al ministero della Salute. Il libro è stato realizzato grazie al contributo di oltre 20 professionisti, tra clinici ed esperti, e alle testimonianze di 9 donne che raccontano il proprio viaggio lungo il percorso di diagnosi e cura. Di rilievo anche i contributi dei rappresentanti istituzionali, tra cui la prefazione del ministro della Salute
Orazio Schillaci. Il progetto "Cambiamo rotta", presentato a pochi giorni dalla 'Giornata mondiale dei tumori ginecologici' che si tiene il 20 settembre, è promosso con il patrocinio di Acto Italia e sponsorizzato da Gsk e Roche. Ha inoltre ricevuto il patrocinio di Aiom (Associazione italiana oncologia medica), Mango (Mario Negri gynecologic oncology group), Mito (Multicenter italian trials in ovarian cancer), Salute: un bene da difendere un diritto da promuovere, Sic (Società italiana di cancerologia), e l'adesione delle Associazioni Loto e Mai più sole. L'incontro è stato l'occasione per individuare strategie per una più efficiente e omogenea presa in carico delle donne con tumore ovarico.
«È necessario e urgente promuovere un nuovo cambio di rotta nella gestione del tumore ovarico» afferma
Nicoletta Cerana, Presidente Acto Italia, che sottolinea come si debbano aprire nuovi percorsi per continuare ad innovare. «Aumentare l'informazione sulla malattia e sui centri specializzati per promuovere scelte di cura più consapevoli; sostenere la ricerca per la diagnosi precoce; aprire ai test genomici per rendere possibili le cure personalizzate; cominciare a parlare di sessualità e oncologia, un ambito di bisogni del tutto dimenticato che sta emergendo sempre più forte da parte delle pazienti. Si vive di più anche con il tumore ovarico, di conseguenza è diventato necessario prendersi cura della persona, oltre che curare la malattia». Il Manifesto Acto 2.0 sintetizza le sette azioni prioritarie per migliorare la presa in carico globale delle donne con tumore ovarico ed è stato redatto a partire dall'analisi dei loro bisogni e dalle indicazioni dei maggiori clinici ed esperti in quest'ambito.
«Negli ultimi 5 anni» sottolinea
Nicoletta Colombo dell'Università Milano- Bicocca, Direttore Programma Ginecologia, Istituto Europeo Oncologia «per la prima volta siamo riusciti ad aumentare la percentuale di pazienti potenzialmente guarite. Abbiamo scoperto, infatti, il primo "bersaglio" del tumore ovarico che può essere colpito con farmaci mirati: il deficit della ricombinazione omologa (Hrd). Il deficit è presente nei tumori di tutte le pazienti con mutazioni Brca e di un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni: quindi nella metà dei casi totali. Bisogna perciò garantire due tipi di test: quelli genetici, soprattutto a scopo di prevenzione delle persone sane, e quelli genomici sul tessuto tumorale, come il test Hrd, per personalizzare le cure nelle donne malate». La ricerca di Acto Italia mostra che meno della metà delle pazienti (45%) accede alla profilazione genomica. C'è inoltre ancora un 12% di pazienti a cui non è stato proposto il test genetico per le mutazioni Brca. Ad oggi, però, solo la ricerca delle mutazioni Brca (test genetico) è nei livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre la ricerca di Hrd (profilazione genomica) non è ancora rimborsata dal Sistema sanitario nazionale (Ssn). «Il rischio» sottolinea
Umberto Malapelle, Chair del Laboratorio di Patologia molecolare predittiva, Dipartimento di Sanità pubblica, Università degli studi Federico II di Napoli «è che non tutte le pazienti possano accedere ai test in modo uniforme sul territorio e, di conseguenza, non abbiano le stesse opportunità di cura. La ricerca, inoltre, procede molto velocemente e, a mio avviso, i Lea dovrebbero prevedere, più in generale, la profilazione genomica estesa, lasciando agli esperti la decisione di quale tipo di strategia utilizzare in relazione al quesito clinico».
I test rappresentano quindi un requisito essenziale per garantire a ogni paziente una strategia terapeutica personalizzata. «I risultati di questa personalizzazione» aggiunge
Domenica Lorusso, docente di Ostetricia e ginecologia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Responsabile Uoc Programmazione ricerca clinica presso Fondazione Policlinico Gemelli Irccs «riguardano soprattutto la terapia medica e di mantenimento, e si traducono in un'opportunità concreta di attingere a nuove classi di farmaci mirati e a bersaglio molecolare - Parp inibitori, immunoterapie, anticorpi farmaco-coniugati - che richiedono una gestione e una presa in carico di un team multidisciplinare. Di qui l'esigenza di identificare i centri oncologici specializzati dove queste pazienti possono essere curate». Le donne però non ne sono consapevoli: come evidenziano i dati dell'indagine ACTO Italia, infatti, solo il 27% delle pazienti dichiara di aver scelto il proprio centro in base alla specializzazione nel trattamento del carcinoma ovarico. «Questo è un aspetto centrale soprattutto quando parliamo del trattamento chirurgico, che oggi» afferma
Giovanni Scambia, Direttore Uoc Ginecologia oncologica - Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma «rappresenta la terapia d'elezione in tutte le fasi della malattia: nello stadio iniziale, dove l'intervento e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi di guarigione anche dell'80-85%; negli stadi avanzati, dove l'intervento da solo riesce a eradicare la malattia in circa il 60% delle pazienti. Solo i centri specializzati possono infatti garantire anche l'expertise dell'équipe chirurgica».
«Essere curate per il tumore ovarico al meglio delle nostre attuali conoscenze e con le tecnologie più all'avanguardia non può essere una questione di fortuna. E non può e non deve dipendere da dove si vive». È quanto sottolinea
Sandro Pignata, Direttore Uoc Oncologia uro-ginecologica, Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli, Coordinatore Scientifico della Rete Oncologica Campana e Presidente Mito. «Ci sono le Linee guida e c'è uno strumento attuativo indispensabile che serve ad applicarle: il Pdta, cioè il Percorso diagnostico-terapeutico assistenziale del tumore ovarico. E poiché il nostro Sistema Sanitario è regionale, ogni Regione si dovrebbe dotare del Pdta del tumore dell'ovaio». È fondamentale infatti agire per garantire standard di presa in carico omogenei sul territorio nazionale. Non a caso un'attenzione particolare degli interlocutori coinvolti nella stesura del libro bianco è rivolta alla qualità di vita e all'oncologia territoriale. «In questo caso il compito della politica» sostiene la Senatrice
Elena Murelli «è quello di ascoltare le esigenze di pazienti e professionisti, stabilire delle priorità insieme a loro e costruire una sanità sempre più vicina alle reali esigenze di ogni persona». Questo è anche il fine del disegno di Legge che è stato presentato al Senato sulla partecipazione delle Associazioni dei malati e delle organizzazioni di cittadini nell'ambito della tutela della salute all'interno dei principali tavoli decisionali, ha specificato.
Suk sito Acto Italia da cui è scaricabile il libro bianco "Cambiamo rotta" ed è consultabile il "Manifesto Acto 2.0":
https://www.acto-italia.org/it https://www.acto-italia.org/advocacy/manifesto-dei-bisogni-e-dei-diritti-delle-pazienti-di-tumore-ovarico