Nel 2020 le prestazioni ambulatoriali e specialistiche erogate diminuiscono del 20,3% rispetto
all'anno precedente. Si tratta di una caduta molto più ampia di quella già osservata nel 2019, quando la diminuzione è stata dell'1%. E' quanto emerge dal Rapporto Annuale Istat che analizza tra l'altro l'effetto della pandemia di coronavirus sulle prestazioni sanitarie ambulatoriali. Lungo la Penisola la diminuzione delle prestazioni ambulatoriali è stata particolarmente forte in Basilicata (-50%) e nella provincia autonoma di Bolzano (-42%). Cali nell'ordine del 30% si sono registrati in Valle d'Aosta, Calabria, Sardegna e Liguria.
All'opposto, la flessione è risultata inferiore a quella media nazionale, e compresa tra l'11 e il 15%, in Campania, Sicilia e Toscana.
La diminuzione delle prestazioni ha riguardato in eguale misura uomini e donne mentre ci sono differenze per fasce di età: quella pediatrica è la più coinvolta, con un calo del 33%, seguita dagli adulti tra i 35 e i 54 anni (-22%). Per le altre età la riduzione è compresa tra il 18 e il 22%. L'intensità del fenomeno varia anche in funzione del tipo di prestazione. I cali maggiori riguardano le componenti della riabilitazione e delle visite. Nell'ambito riabilitativo (riabilitazione fisica, diagnostica, funzionale) le prestazioni, già diminuite del 5% nel 2019, si sono ridotte del 31% nel 2020. Nel 2020 le visite specialistiche (di controllo o prime visite, finalizzate a impostare un eventuale piano diagnostico terapeutico) si sono ridotte di quasi un terzo. Anche in questo caso alcune regioni hanno subito una contrazione maggiore (-65% la Basilicata, -53% la Valle d'Aosta e -50% le Marche) ma per nessuna è stata inferiore al 20%.
Le prestazioni indifferibili erogate (Tac, risonanze magnetiche, biopsie, dialisi e radioterapia) sono state complessivamente circa 2 milioni in meno, con un calo del 7%. La riduzione ha interessato tutte le ripartizioni ma è stata maggiore nel Nord, dove ha toccato il 9,4%, e più contenuta nel Centro e nel Mezzogiorno (in entrambi i casi del 4,9%).
Nel suo rapporto l'Istat rileva anche come "la crisi pandemica ha esercitato un forte impatto sui comportamenti demografici e causato un diffuso stress alle strutture sanitarie che si è riflesso sulla capacità di prevenzione e cura delle malattie". "Il quadro demografico nel 2020 è contraddistinto dal nuovo minimo storico di nascite dall'Unità d'Italia e da un massimo di decessi dal secondo dopoguerra - sottolinea l'Istituto nazionale di statistica - Tra i fattori determinanti dell'andamento della popolazione - anche per i riflessi sui progetti di vita individuali - vi è il calo eccezionale dei matrimoni. I primi dati relativi al 2021 rafforzano la convinzione che la crisi abbia amplificato gli effetti del malessere demografico strutturale che da decenni spinge sempre più i giovani a ritardare le tappe della transizione verso la vita adulta, a causa delle difficoltà che incontrano nella realizzazione dei loro progetti. L'emergenza sanitaria ha imposto restrizioni che hanno dettato nuovi stili di vita e limitato la mobilità, riducendo sia i trasferimenti interni sia i flussi da e per l'estero".
"La pandemia - evidenzia l'Istat - ha avuto un effetto drammatico sulla mortalità, non solo per i decessi causati direttamente, ma anche per quelli dovuti all'acuirsi delle condizioni di fragilità della popolazione, soprattutto anziana. Nei primi due mesi della crisi sanitaria sono aumentati i decessi legati a patologie per le quali la tempestività e la regolarità delle cure è spesso decisiva. I ritardi e le rinunce a prestazioni sanitarie - finalizzate alla cura di patologie in fase acuta o ad attività di prevenzione - avranno delle conseguenze sulla salute della popolazione. I dati più recenti sull'attività di assistenza sanitaria territoriale, visite specialistiche e accertamenti diagnostici misurano una diminuzione generale delle prestazioni, anche di quelle indifferibili"