Trovare il modo di produrre in casa propria le materie prime sofisticate, dalla salute all'elettronica, per le quali dipendiamo da paesi lontani e a volte in conflitto con i nostri interessi. E' il solo motivo per cui l'Unione Europea legittima gli aiuti dei suoi 27 stati membri alle imprese. Si tratta di raccogliere risorse, imprese e consensi di più nazioni sugli "Important Projects of Common European Interest" (Ipcei). Per un'Europa che spende in finanziamenti al privato su progetti strategici un quinto degli Usa questa è forse l'ultima spiaggia per non regredire. In tema di salute, poi, l'Ipcei lanciato in questi mesi dalla Francia è un'opportunità anche per l'Italia che aderisce. Ma finora, ha rivelato
Giovanni Tria consigliere del ministero dello Sviluppo all'evento di Edra e Centro Studi Americani sull'uso dei fondi Ipcei -un "match" tra industria e mondo politico - non sono stati attivati progetti. A differenza che su batterie, idrogeno, microelettronica, «nessun ministero si è reso interlocutore o collettore di idee». Nella farmaceutica più che altrove, spiega Tria, «il problema non è solo di recuperare competitività ma di sicurezza nazionale. Affrontiamo la resistenza agli antibiotici, cerchiamo materie prime per ridurre l'incertezza sulle terapie. E' necessario saper sfruttare ciò che si ha, ed è necessaria volontà politica». Purtroppo, ci sono esempi negativi fin qui. «Sul temporary framework, altro strumento Ue atto a finanziare il privato con aiuti di stato, chiediamo un allungamento delle scadenze dimenticando che siamo partiti con un anno di ritardo. I dpcm per attivarlo sono stati fatti a marzo 2021, a 7 mesi dalla scadenza: è un problema di capacità operativa o politico? Se per i vaccini nulla è giunto in un anno per la ricerca malgrado 150 miliardi stanziati di scostamento di bilancio di chi è la colpa? Pure sugli Ipcei siamo in ritardo. Quale Ministero deve raccogliere i progetti? Ricerca, Salute, Sviluppo od Economia? Per affrontare la pandemia è stato approntato un Commissariato; in Europa hanno costruito un'Authority per rifornirsi di vaccini. Qui manca un attore centrale che gestisca fondi secondo progetti. Penso serva una cabina di regia, o un'Agenzia in grado di spendere con norme che ne sorreggano tale possibilità».
Il ministero della Salute non sembra al momento il luogo naturale dove decidere finanziamenti. «Posto che l'innovazione è in larga misura biofarmaci mentre l'Italia è leader nei prodotti di sintesi, per dare risposte ad un'industria farmaceutica che chiede di innovare mancano innanzi tutto defiscalizzazioni, presenti in altri stati Ue, ed incentivi a trasformare idee accademiche in produzioni», riflette Giorgio Palù presidente dell'Agenzia del farmaco, che auspica una visione di lungo periodo e capacità di fare squadra. «Ove in un progetto industriale per la salute a fare il capofila non fosse il Ministero dell'Università o quello della Salute ma il ministero dello Sviluppo auspico che almeno non si sia dispersivi e ci sia un'unica regia. L'Agenzia del Farmaco? Com'è ora, può entrare solo nel merito regolatorio. Ha esaurito il fondo del 5% con cui incentivare la ricerca: appena 2 milioni per ricerche applicate. Per quanto potevo ho stimolato la scommessa sugli anticorpi monoclonali, le ricerche innovative, ma le risorse sono limitate e l'Agenzia stessa va rifondata con una visione di lungo periodo, le sue commissioni vanno unificate con componenti d'alto profilo scientifico che lavorino solo per essa, senza conflitti d'interesse».
L'onorevole
Martina Nardi della commissione sviluppo economico della Camera, sottolinea come in Italia manchi una strategia. «Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci sono troppe cose, dobbiamo scegliere di concerto con l'Ue gli asset strategici dove indirizzare politiche avanzate. L'Ipcei è un canale e per sviluppare alcuni dei progetti in essere, per essere autosufficienti nella produzione dobbiamo investire sulle questioni riguardanti l'industria farmaceutica, sull'innovazione, sui centri universitari nonché far nascere aziende in aree servite e centrali rispetto alla logistica, vicine ai centri d'eccellenza, potenziando specifici distretti e dicendo dei "no". Questo potrebbe fare molto bene al nostro paese e rendere praticabili investimenti in tempi veloci. La maggioranza delle criticità delle imprese italiane è data dalla difficoltà ad insediarsi e dai tempi relativi: serve semplificare la burocrazia. Se ci si mette 9 anni a creare un insediamento, la battaglia è persa in partenza».